venerdì 21 maggio 2021
TESINA SUI FUMETTI
martedì 18 maggio 2021
PARAFRASI CAPITOLO XV MACHIAVELLI QUALITA' DEL PRINCIPE
Motivi per cui gli uomini, e soprattutto i governanti, sono amati o odiati
Rimane ora da esaminare il modo in cui un Principe debba comportarsi coi propri sudditi e con gli alleati. E siccome so che molti hanno già trattato questa materia, temo che, scrivendone anche io, sarò considerato un presuntuoso, visto che le mie idee si allontanano (partendomi) molto da quanto hanno sostenuto tutti gli altri.
Lasciando stare quindi tutte le cose ideali che si sono immaginate per un Principe, e parlando invece delle cose reali, penso che quando si parla degli uomini e soprattutto dei Principi, visto che sono sotto gli occhi di tutti, essi vengono considerati per alcune qualità che danno loro biasimo o ammirazione; alcuni sono considerati come liberali, alcuni invece miseri, usando un termine del dialetto toscano (perché avaro nel nostro dialetto è colui che, con la disonestà, vuole accrescere le proprie ricchezze, mentre misero è quello fa fatica a spenderle), altri sono considerati generosi, altri avidi; alcuni crudeli, altri pietosi; certi traditori, altri fedeli; uno debole e pauroso, l'altro feroce e livoroso; uno umano, l'altro superbo; uno lussurioso, l'altro casto; uno moralmente onesto, l'altro astuto; uno rigido, l'altro malleabile; uno pesante, l'altro leggero; uno religioso, l'altro non credente e così via.
domenica 9 maggio 2021
10 FRASI CON IL COMPLEMENTO OGGETTO INTERNO
1)Mio padre ha vissuto una vita avventurosa
mercoledì 28 aprile 2021
TESINA SU CHERNOBYL
Geografia= La Russia odierna (o l'Unione Sovietica)
sabato 24 aprile 2021
PARAFRASI LE NERE SCALE DELLA MIA TAVERNA SANDRO PENNA
tu discendi tutto intriso di vento.
I bei capelli caduti tu hai
Tu scendi le scale annerite della taverna che frequento spesso (mia) infreddolito dal vento.
ANALISI METRICA
Lirica composta da un'unica strofa per 9 versi totali.
giovedì 15 aprile 2021
PARAFRASI DAVANTI SAN GUIDO
Van da San Guido in duplice filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardâr.
Mi riconobbero, e — Ben torni omai —
Bisbigliaron vèr’ me co ’l capo chino —
Perché non scendi? Perché non ristai?
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh sièditi a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d’una volta: oh, non facean già male!
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosí?
Le passere la sera intreccian voli
A noi d’intorno ancora. Oh resta qui! —
— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d’un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei —
Guardando io rispondeva — oh di che cuore!
Ma, cipressetti miei, lasciatem’ ire:
Or non è piú quel tempo e quell’età.
Se voi sapeste!... via, non fo per dire,
Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtú:
Non son piú, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro piú.
E massime a le piante. — Un mormorio
Pe’ dubitanti vertici ondeggiò,
E il dí cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fe’ parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se’.
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare
L’umana tua tristezza e il vostro duol.
Vedi come pacato e azzurro è il mare,
Come ridente a lui discende il sol!
E come questo occaso è pien di voli,
Com’è allegro de’ passeri il garrire!
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
I rei fantasmi che da’ fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l’ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l’ardente pian,
Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co ’l lor bianco velo;
E Pan l’eterno che su l’erme alture
A quell’ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortal, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io — Lontano, oltre Apennin, m’aspetta
La Tittí — rispondea — ; lasciatem’ ire.
È la Tittí come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.
E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio cipressi! addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggíano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero,
Giú de’ cipressi per la verde via,
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia;
La signora Lucia, da la cui bocca,
Tra l’ondeggiar de i candidi capelli,
La favella toscana, ch’è sí sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,
Canora discendea, co ’l mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Pieno di forza e di soavità.
O nonna, o nonna! deh com’era bella
Quand’ero bimbo! ditemela ancor,
Ditela a quest’uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amor!
— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate,
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare. —
Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio cosí.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui,
Sotto questi cipressi, ove non spero
Ove non penso di posarmi piú:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.
Ansimando fuggía la vaporiera
Mentr’io cosí piangeva entro il mio cuore;
E di polledri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d’un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
Sembrano riconoscerlo e, con le chiome piegate all'ingiù, bisbigliano dicendo che finalmente è tornato e gli domandano perché non scende (dal treno) e perché non si ferma con loro, visto che la sera è piacevole e lui conosce la strada.
Gli dicono di sedersi sotto la loro ombra profumata, da cui si sente il vento di maestrale che arriva dal mare e che non portano rancore per i sassi che lui tirava loro da bambino, perché non erano colpi dolorosi.
Dicono che tra i loro rami gli usignoli fanno ancora il nido e si chiedono perché stia correndo via così velocemente. I passeri ancora volteggiano fra i cipressi e anche per questo gli chiedono di restare.
Il poeta risponde affettuosamente ai cipressi, dicendo che loro rappresentano i fedeli amici dell'età più bella (l'infanzia), e che vorrebbe sinceramente restare con loro. Ma devono sapere che ormai non è più quel tempo, lui non è più un bambino e loro non sanno che adesso è diventato una persona famosa.
Il poeta allora capisce che i cipressi e il sole hanno pietà di lui. Quel mormorio si trasforma presto in parole con cui i cipressi dicono al poeta che sanno benissimo che lui è un infelice.
Lo sanno perché glielo ha detto il vento, che è in grado di cogliere i sospiri degli uomini e sanno che nel profondo del poeta si agitano continui conflitti che lui non sa come calmare.
Dicono al poeta di raccontare alle querce e ai cipressi la sua tristezza e il suo dolore. Gli consigliano di guardare il mare che è calmo e azzurro e come il sole splendente tramonta sull'acqua.
martedì 6 aprile 2021
TESINA SUGLI ANNI '30
Geografia= L'Uruguay (ospita la prima edizione dei Mondiali di Calcio nel 1930)
sabato 20 marzo 2021
CONFRONTO DALFINO E ROSSO MALPELO
Confronto fra il personaggio di Dalfino di D'Annunzio e Rosso Malpelo di Verga
PUNTI IN COMUNE
- Hanno un soprannome che deriva da alcune caratteristiche fisiche: Dalfino ricorda appunto un delfino per le sue qualità di nuotatore e per una certa forma della testa, mentre Rosso Malpelo è così chiamato per via dei capelli rossi
- Entrambi i ragazzi sono degli emarginati, hanno avuto un destino avverso che li ha portati ad essere soli con sé stessi (Dalfino è orfano di padre e madre, mentre Malpelo ha ancora la madre e la sorella, ma non si sente amato come da una vera famiglia)
- Entrambi hanno perso il padre a causa del lavoro che svolgevano (Dalfino in mare perché suo padre era pescatore, Malpelo alla cava di rena dove il padre è rimasto sepolto da una frana).
- Entrambi sono irascibili, ma anche fragili. Alternano momenti di rabbia ad altri di malinconia e dolcezza.
- Entrambi sono animati da un desiderio di vendetta
- Entrambi scompaiono (muoiono) in modo tragico (Dalfino in mare, dopo aver ucciso il rivale in amore, Malpelo sotto la cava) e di loro non si saprà mai più nulla.
- Dalfino ha la sensualità tipica dei personaggi dannunziani, è preso da passioni violente, è innamorato della Zanna e per lei ucciderà il finanziere, suo rivale. In Malpelo questo aspetto della passione amorosa è totalmente assente. Malpelo è più piccolo, è ancora troppo bambino (Dalfino ha vent'anni) e non è certamente bello come Dalfino.
- Anche il paesaggio descritto da D'Annunzio riflette la passione e l'esuberanza di Dalfino: i tramonti dai colori violenti, il mare descritto in maniera ricca e sensuale, come creatura che avvolge e affascina. Qui si può parlare di panismo dannunziano: l'uomo (Dalfino) e la natura sono fusi insieme, sono l'uno lo specchio dell'altro.
- Anche lo stile è molto diverso: la prosa dannunziana è ricca, a volte il lessico arcaico e le espressioni ricercate si interpongono ad espressioni dialettali, tipiche del linguaggio popolare. Verga invece è fedele alla tecnica verista e il linguaggio è l'italiano di fine '800 con all'interno espressioni popolari e dialettali.
- Inoltre a differenza di Verga che usa lo straniamento e l'oggettività, D'Annunzio interviene nella narrazione per commentare le azioni dei personaggi e spiegare i loro sentimenti.
sabato 13 marzo 2021
ANALISI POESIA MARZO DI VINCENZO CARDARELLI
è un vino effervescente.
Spumeggia il primo verde
sui grandi olmi fioriti a ciuffi
ove il germe già cade
come diffusa pioggia.
Tra i rami onusti e prodighi
un cardellino becca.
Verdi persiane squillano
su rosse facciate
che il chiaro allegro vento
di marzo pulisce.
Tutto è color di prato.
Anche l'edera è illusa,
la borraccina è più verde
sui vecchi tronchi immemori
che non hanno stagione,
lungo i ruderi ombrosi e macilenti
cui pur rinnova marzo il greve manto.
Scossa da un fiato immenso
la città vive un giorno
di umori campestri.
Ebbra la primavera
corre nel sangue
sabato 6 marzo 2021
TESINA SUI SOCIAL NETWORK
Geografia=Gli USA
sabato 20 febbraio 2021
RIASSUNTO GENOCIDIO ARMENO
In seguito alla divisione tra Chiesa Cattolica e Chiesa Ortodossa, l'Armenia aderisce alla Chiesa Orientale Ortodossa, conservando i propri rituali (Rito Armeno). Questo popolo quindi, conservando una propria religione (quella Cristiana Ortodossa) e una propria lingua, si è sempre distinto da tutti gli altri popoli per la sua forte identità culturale .
Gli armeni furono quindi sottomessi e per secoli vissero nell’ombra dell’Impero Ottomano, considerati come cittadini di seconda classe, a cui venivano imposte molte limitazioni. Ad esempio gli veniva impedito di indossare i loro vestiti tradizionali, le loro chiese non potevano affacciarsi sulla pubblica strada, era molto difficile per loro trovare un impiego nella pubblica amministrazione.
Primo genocidio - Fine 1800
Alla fine dell’Ottocento, il Sultano turco Abdul Hamid diede inizio ad una serie di persecuzioni contro gli Armeni che chiedevano maggiori garanzie e libertà per la loro comunità. Queste persecuzioni (avvenute tra il 1893 e il 1896) causarono circa 300 mila morti. Questo è considerato il Primo Genocidio Armeno e, nonostante ci siano state ampie testimonianze di quanto stava accadendo, le potenze europee, come la Francia, la Gran Bretagna e la Russia, che erano tradizionalmente a favore della “causa armena”, non intervennero nei confronti della Turchia. In seguito al Primo Genocidio, ci fu una forte emigrazione di Armeni verso i Paesi Europei (soprattutto verso la Francia) e l’America del Nord.
Il Genocidio del 1915
All'inizio del '900, nell’impero ottomano si fece strada il movimento dei “Giovani Turchi” che avevano in progetto di rovesciare il sultanato per portare più libertà ai cittadini. Anche gli Armeni li appoggiarono sperando in un sistema più libero e democratico, ma dovettero presto fare i conti con un'altra realtà: infatti, dopo aver preso il potere con un colpo di stato, i Giovani Turchi ripresero con più forza le persecuzioni a danno degli armeni. L'ala ultranazionalistica del partito, infatti, voleva raggiungere il Panturchismo, ma si trovava di fronte due ostacoli: il primo erano i Curdi, che però essendo mussulmani e non avendo una forte cultura nazionale potevano essere facilmente assimilati nella nuova società. Il secondo ostacolo era rappresentato dagli Armeni, che non solo erano cristiani, ma avevano anche una cultura millenaria, con proprie tradizioni e una propria lingua. Quindi dovevano essere eliminati.
Nell’aprile 1909 nella zona di Adanà ci fu una violenta azione contro gli Armeni, che il Governo tacitamente permise. In pochi giorni vennero uccisi circa 30.000 Armeni. Nel 1913, si formò una Dittatura militare e, nel febbraio 1915, il Governo turco decise la sistematica eliminazione degli Armeni, attraverso la costituzione di una struttura paramilitare, denominata Organizzazione Speciale.
Il genocidio fu realizzato in quattro fasi:
- elite culturale e politica
- forze armate
- deportazione nei campi di internamento
- Morte nei campi di internamento
Annientamento culturale
L'annientamento del popolo armeno proseguì poi anche a livello culturale: il governo turco cercò infatti di "turchizzare" le Regioni Orientali, abitate fino al 1915 prevalentemente da Armeni e da altre minoranze cristiane, cancellando ogni traccia della presenza e della cultura armena, fino a negare addirittura che gli Armeni, in quelle regioni, fossero mai esistiti. A molte località armene venne “ turchizzato” il nome, ad esempio il Monte Ararat (dove si sarebbe fermata l’Arca di Noè, dopo il Diluvio Universale) fu chiamato Agri Dagi. Anche il patrimonio culturale armeno venne in gran parte distrutto: nel 1915 c’erano oltre 3.500 monumenti armeni (monasteri, chiese, scuole, biblioteche…); di questi, nel 1916, ne rimanevano appena 500, alcuni gravemente danneggiati.
sabato 13 febbraio 2021
PARAFRASI LA FAVOLA DEI SUONI GALILEO
Mi sembra, in base a diverse esperienze da me fatte, che l'atteggiamento degli uomini verso le questioni intellettuali sia questo, cioè che le persone meno conoscono una determinata cosa e più vogliono parlarne e che, al contrario, la gran mole di cose conosciute e comprese renda più lento e difficile l'esprimersi riguardo alle novità.
In un luogo molto solitario nacque un uomo che era naturalmente dotato di un intelligenza acuta e di una straordinaria curiosità, il quale, come passatempo, allevava uccelli per godere del loro canto e, meravigliandosi molto, si rendeva conto che essi, con la stessa semplicità con cui respiravano, potevano anche emettere suoni diversi, ma tutti bellissimi.
Una notte, vicino a casa sua, gli capitò di sentire un suono molto delicato e, pensando che potesse essere un nuovo tipo di uccello, andò per catturarlo, ma arrivato sulla strada, vide che era un giovane pastore che, soffiando in un legnetto forato e muovendo le dita sopra i fori, aprendoli e chiudendoli, riusciva ad emettere suoni simili a quelli di un uccello, ma in modo diverso.
Stupito e incuriosito, regalò al pastore un vitello in cambio di quello zufolo e, dopo aver riflettuto, rendendosi conto che, se il pastore non si fosse trovato a passare di lì, lui non avrebbe mai conosciuto il modo di creare suoni così delicati, decise di andare via di casa per vivere qualche altra avventura.
Così accadde che, il giorno seguente, passando accanto ad una povera abitazione, sentì nuovamente un suono simile e, per capire se fosse uno zufolo oppure un merlo, entrò e trovò un ragazzo che con la mano destra teneva un archetto e lo passava su alcune corde tese sopra ad un legno che aveva una rientranza, mentre con la sinistra teneva lo strumento e vi muoveva sopra le dita, e senza usare il fiato, riusciva a creare suoni diversi, ma molto dolci. Gli unici che possono capire il suo stupore sono coloro che possiedono la stessa intelligenza e curiosità di quell'uomo, il quale, colto alla sprovvista da due nuovi modi di creare voci e canti tanto inaspettati, iniziò a pensare che in natura potessero essercene molti altri.
Grande fu la sua meraviglia quando, entrando in un tempio si era nascosto dietro una porta per vedere chi avesse suonato, ma il suono era provocato dal movimento dei ferri e dagli anelli (sono parte dei cardini della porta) quando si apriva la porta. Un'altra volta, mosso dalla curiosità, entrò in un'osteria pensando di vedere qualcuno che con l'archetto toccasse delicatamente le corde di un violino, e invece trovò un uomo che, sfregando il polpastrello sull'orlo di un bicchiere, riusciva a produrre un suono dolcissimo.
Ma poi, quando gli capitò di osservare che le vespe, le zanzare e i mosconi producevano suoni ininterrotti non con il fiato come facevano i suoi uccellini, ma con il rapidissimo battere delle ali, quanto più la sua meraviglia aumentava, tanto più si indebolivano le sue certezze riguardo al modo in cui un suono può essere creato; e tutte le cose che aveva visto non sarebbero bastate a fargli capire come i grilli, pur non volando, potessero creare un suono così forte solo con il muovere le ali.
E quando credeva che non ci potessero essere altri modi di creare suoni, dopo aver visto, oltre a tutto ciò che già è stato detto, ancora molti organi, trombe, flauti, strumenti a corde di tantissimi tipi, fino a quella linguetta di ferro che, messa fra denti, usa la cavità della bocca come cassa di risonanza per veicolare il suono, quando, dicevo, egli credeva di aver visto tutto, si trovò più che mai immerso nell'ignoranza e nello stupore quando gli capitò di trovarsi in mano una cicala che, pur chiudendole la bocca o fermandole le ali, non smetteva di emettere quel suono rumoroso, e di cui non si vedevano muovere le scaglie né altra parte del corpo da cui potesse arrivare il suono, e alla fine solo alzandole la cassa toracica e trovando alcune cartilagini due e sottili, pensando che il suono derivasse da quelle, si decise a romperle per vedere se il suono smetteva, ma senza risultato, e allora spinse l'ago più a fondo nella cicala, fino ad ucciderla, così che non seppe mai come essa producesse il suo verso; allora l'uomo arrivò ad un punto tale di incertezza nella sua conoscenza che, se gli si domandava come si producessero i suoni, rispondeva di conoscere alcuni modi per farlo, ma che era certissimo che ce ne fossero altri cento sconosciuti e imprevedibili.
martedì 9 febbraio 2021
ADDIO AI MONTI FIGURE RETORICHE
"Non tirava un alito di vento: il lago giaceva liscio e piano (endiadi), e sarebbe parso immobile, se non fosse stato il tremolare e l'ondeggiar leggero della luna(metonimia), che vi si specchiava da mezzo il cielo. S'udiva soltanto il fiotto morto e lento(endiadi) frangersi sulle ghiaie del lido, il gorgoglìo (onomatopea) più lontano dell'acqua rotta tra le pile del ponte, e il tonfo (onomatopea) misurato di que'(apocope)due remi, che tagliavano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo grondanti, e si rituffavano. L'onda segata dalla barca, riunendosi dietro la poppa, segnava una striscia increspata, che s'andava allontanando dal lido. I passeggeri silenziosi, con la testa voltata indietro, guardavano i monti, e il paese rischiarato dalla luna, e variato qua e là di grand'ombre. Si distinguevano i villaggi, le case, le capanne: il palazzotto di don Rodrigo, con la sua torre piatta, elevato sopra le casucce ammucchiate alla falda del promontorio, pareva un feroce che, ritto nelle tenebre, in mezzo a una compagnia d'addormentati, vegliasse, meditando un delitto (similitudine). Lucia lo vide, e rabbrividì; scese con l'occhio giù giù (epanalessi) per la china, fino al suo paesello, guardò fisso all'estremità, scoprì la sua casetta, scoprì la chioma folta del fico che sopravanzava il muro del cortile, scoprì la finestra della sua camera; e, seduta, com'era, nel fondo della barca, posò il braccio sulla sponda, posò sul braccio la fronte, come per dormire(similitudine), e pianse segretamente. Addio (anafora), monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari (similitudine); torrenti, de' quali distingue lo scroscio (onomatopea), come il suono delle voci domestiche (similitudine); ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti (similitudine); addio! Quanto è tristo il passo di chi (ripetizione), cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta(endiadi); s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro(similitudine); e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a' suoi monti. Ma chi (ripetizione) non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi (ripetizione) aveva composti in essi tutti i disegni dell'avvenire, e n'è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi (ripetizione), staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que' monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l'immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio (anafora)casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore. Addio (anafora), casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore (litote); nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio (anafora), chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore (metafora) doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande. Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia, e poco diversi i pensieri degli altri due pellegrini, mentre la barca gli andava avvicinando alla riva destra dell'Adda".
domenica 7 febbraio 2021
COME IN UNA CATTEDRALE PARAFRASI MARIA LUISA SPAZIANI
Mi risucchia un’eco di mare, e dalle grandi volte
scende un corale antico che è fuso alla mia voce.
Tu, scelto a caso dalla sorte, ora sei l’unico,
il padre, il figlio, l’angelo e il demonio.
Mi immergo a fondo in te, il più essenziale abbraccio,
e le tue labbra restano evanescenti sogni.
Prima di entrare nella grande navata,
vivevo lieta, ero contenta di poco.
Ma il tuo fascio di luce, come un’immensa spada,
relega nel nulla tutto quanto non sei.
PARAFRASI
Mi accosto a questo sentimento come se entrassi dentro una cattedrale, dentro il ventre buio di una balena. L'eco del rumore mare mi trascina via e dalle ampie volte (della cattedrale) scende la musica di un coro antico che si fonde con la mia voce.Il destino ti ha posto accanto a me, ora sei unico (per me), sei il padre, il figlio, l'angelo e il demone. Entro profondamente nel tuo essere, abbraccio fondamentale, e le tue labbra diventano sogni vaghi. Prima di entrare nella navata (della cattedrale) vivevo felice, ero contenta con poco. Ma la grande luce che tu emani fa apparire come il nulla tutto ciò che non sei tu.
METRO
Lirica composta da tre quartine in versi liberiCOMMENTO
La poesia di Maria Luisa Spaziani si apre con due similitudini in cui l'amore è paragonato all'ingresso in una cattedrale e nel ventre di una balena. Seguono poi due metafore ("un eco di mare" e " un corale antico") che descrivono gli effetti che questo sentimento d'amore ha sull'autrice. Troviamo poi una serie di antitesi che raccontano la figura dell'uomo di cui è innamorata: è padre e figlio, angelo e demone insieme. Le labbra dell'amante diventano, in una metafora, anche sogni vaghi e indistinti. Labbra è anche una sineddoche, per indicare la bocca dell'amante.NOTE SULL'AUTRICE
Maria Luisa Spaziani è stata una poetessa italiana, nata a Torino nel 1922. Mentre è ancora studentessa, dirige una piccola rivista, chiamata "Il Girasole" e poi "Il Dado" grazie a cui entra in contatto con l'ambiente letterario della sua città. Dopo la laurea in Lingue, nel 1949 incontra il poeta Eugenio Montale, con cui inizia una lunga e affettuosa amicizia. La sua prima raccolta poetica è Le acque del Sabato, pubblicata nel 1954. Dal 1956 insegna Francese in un collegio di Torino ed sarà proprio il contatto con i giovani studenti a darle ispirazione per le poesie raccolte in Luna lombarda (1959).mercoledì 3 febbraio 2021
RACCOLTA DOMANDE SU PETRARCA
2) Differenza principale tra Dante e Petrarca
Dante è dotato di un sapere enciclopedico e questo lo notiamo soprattutto nelle sue opere: la Commedia, la sua opera più importante nella quale tratta innumerevoli temi; le Rime, in cui esprime la sua passione per la conoscenza e le difficoltà per raggiungerla; il Convivio, dove vengono trattati svariati argomenti. Petrarca, invece, concentra la sua produzione scritta sull’uomo, in particolare su sé stesso e sul proprio dissidio interiore (come fa ad esempio nel Canzoniere). La condizione di peccatore del poeta, insicuro e tormentato, è di valore universale: la condizione poeta rispecchia anche la condizione dell’uomo di quel periodo storico.
3) Molti individuano in Petrarca il primo vero intellettuale moderno. Perché?
In quanto egli pone al centro delle sue tematiche il proprio dissidio interiore, o anche in modo generalizzato, l'uomo e i suoi problemi, curandosi meno della vita politica.
4)Come ha influito la morte di laura sulla poetica petrarchesca?
Il periodo 1347-1348 fu un periodo costellato di eventi funesti per Francesco Petrarca. Dopo la scomparsa di Giovanni Colonna, morì anche Laura, stroncata dalla peste ad Avignone nel luglio del 1348. Quando ne ebbe notizia Petrarca si trovava a Verona. È difficile stabilire quanto questi eventi abbiano inciso sull’animo di Francesco, ma essi ebbero una forte valenza simbolica, di frattura e di passaggio da una stagione all’altra della vita, che lo indussero a comprendere di essere giunto a un momento esistenziale decisivo.
5)Perché Petrarca rifiuta la filosofia scolastica per abbracciare il pensiero agostiniano?
Perché la filosofia scolastica costruita sul modello aristotelico aveva la pretesa di catalogare tutte le manifestazioni della realtà (compreso Dio) in degli schemi aridi e fissi. Per Petrarca queste catalogazioni di dottrine nn hanno senso in quanto pensava che la vera essenza della filosofia fosse la ricerca interiore dell'individuo tramite la quale potrà raggiungere un'armonia, superando i conflitti dell'animo. Quindi, mentre Dante ha fiducia in un ordine unitario e fonda il suo pensiero sulla filosofia della Scolastica, prendendo come punto di riferimento S. Tommaso, Petrarca fonda il suo pensiero sulla filosofia che pone l’uomo al centro della sua indagine e che studia la sua interiorità, così si affida al pensiero di S. Agostino che cita anche nella sua opera Secretum, delineandolo come l’uomo che lo aiuta a raggiungere la salvezza eterna nel suo continuo dissidio interiore tra i piaceri terreni e l’elevazione spirituale.
Le rime in vita di Laura: ella viene descritta come angelo ma indifferente alla passione del poeta. Petrarca è tormentato interiormente e alterna gioia a crisi(dissidio tra il desiderio d'amore e l'ideale ascetico)
Le rime in morte di Laura: ella è mite e compassionevole verso Petrarca che prova nostalgia per lei ed è addolorato per la sua morte.
9) Perché Petrarca è detto l'uomo del dubbio?
Perché fino alla morte è stato turbato da un profondo dissidio che si riflette nel contenuto delle sue opere: il dissidio fra i beni terreni e i beni ultraterreni, l'amore per Laura e l'amore per Dio. Non riesce a rinunciare a nessuno dei due. Solo nello scrivere sembra trovare un po' di pace, ma il suo animo resta per sempre tormentato.
10) Perché Petrarca è detto l'uomo della crisi?
Petrarca è segno ed emblema della crisi della sua epoca: il 1300 rappresenta la crisi di quei valori religiosi, culturali ed umani, che avevano caratterizzato il Medioevo.
Ci stiamo avvicinando al Rinascimento, ad una nuova concezione dell'uomo, ad un suo rinnovato rapporto con Dio. Petrarca è la punta che segna lo spartiacque tra il mondo tutto medievale di Dante e quello pre-umanista di Boccaccio, tra la perfezione del mondo teocentrico della divina commedia del primo e il caos antropocentrico, individualistico, della commedia umana del secondo. Il passaggio dall'una all'altra concezione con Petrarca ancora non è avvenuto.
Petrarca condusse una intensa vita mondana, ricca di incontri, feste e divertimenti, incominciando anche a mettersi in luce per il suo talento letterario. Nel 1330 entrò al servizio del cardinale Giovanni Colonna come cappellano di famiglia, carica che fra l’altro gli consentì di intraprendere numerosi viaggi nella Francia settentrionale, in Renania e nelle Fiandre (a Liegi scoprì nel 1333 l’orazione ciceroniana Pro Archia, inizio fortunato di tante altre scoperte umanistiche). L’amore per i viaggi rivela fra l’altro la sua indole cosmopolita, aliena dal municipalismo di molti suoi contemporanei, e una inclinazione a conoscere e a sperimentare ambienti sempre nuovi e diversi che non lo abbandonò mai, neppure nella vecchiaia.
12) Indica i motivi polemici anti ecclesiastici presenti nelle opere petrarchesche, segnalando il rapporto che l'autore ebbe con la curia avignonese.
Nel 1330 Petrarca entra negli ordini ecclesiastici minori facendo voto di celibato e diventa cappellano della famiglia del vescovo Giovanni Colonna, viaggiando in varie parti d'Europa.
Nel 1335 scambia una fitta corrispondenza col Papa (che allora aveva la sua sede ad Avignone) in riferimento alle rivolte in Italia e chiedendo il suo ritorno a Roma. Pur svolgendo importanti incarichi all'interno della Chiesa, Petrarca si sentì spesso in contrasto con l'ambiente ecclesiastico e culturale di Avignone ed infatti scrisse anche scrive poesie anticlericali contro la corruzione della curia di Avignone, città francese che descrive come un ricettacolo di vizi e che diviene per Petrarca simbolo dell’espiazione che deve attuare la Chiesa in un esilio lontano dalla patria, nuova Babilonia
sabato 30 gennaio 2021
VACANZE AL PASSE' COMPOSE' IN FRANCESE
martedì 26 gennaio 2021
RIASSUNTO ALBERT EINSTEIN
Albert Einstein davanti all'Università di Princeton |
giovedì 14 gennaio 2021
RIASSUNTO SUL BASKET
- 1 punto: viene assegnato per ogni canestro fatto eseguendo un tiro libero
- 2 punti: vengono assegnati per ogni canestro fatto eseguendo un tiro all'interno dell'area delimitata dalla linea dei 3 punti.
- 3 punti: vengono assegnati per ogni canestro fatto eseguendo un tiro all'esterno dell'area dei 3 punti (entrambi i piedi del tiratore non devono toccare la linea).
lunedì 11 gennaio 2021
PARAFRASI LA CALANDRA DI PASCOLI
È la calandra, immobile nel sole
meridïano, come un punto d’oro.
E le sue voci pullulano sole
dal cielo azzurro, quando è per tacere
la romanella delle risaiole;
e non più tintinnìo di sonagliere
s’ode passare per le vie lontane,
chè già desina all’ombra il carrettiere.
Nè più cicale, nè più rauche rane,
non un fil d’aria, non un frullo d’ale:
unica, in tutto il cielo, essa rimane.
Rimane e canta; ed il suo canto è quale
di tutto un bosco, di tutto un mattino;
vario così com’iride d’opale.
Canta; e tu n’odi il lungo mattutino
grido del merlo; e tu senti un odore
acuto di ginepro e di sapino.
senti un odore d’ombra e d’umidore;
di foglie, di corteccia e di rugiada;
un fragrar di corbezzole e di more.
Vai per un bosco, e senti, ove tu vada,
quei fischi uscir più liquidi e più ricchi;
poi, come colpi da remota strada
di spaccapietre, il martellar de’ picchi.