sabato 20 febbraio 2021

RIASSUNTO GENOCIDIO ARMENO

Il Genocidio degli Armeni è stato il primo genocidio di massa del XX Secolo e  solo recentemente è stato portato all'attenzione di tutto il mondo occidentale. Ancora oggi, purtroppo, non si conosce la reale entità delle sue dimensioni, anche se gli storici parlano di almeno 1.500.000 vittime.

Un po' di storia dell'Armenia
Anticamente l'Armenia occupava un territorio molto vasto rispetto a quello attuale (nella cartina si può vedere l'antico territorio colorato in arancione e quello attuale contornato in rosso).

Gli Armeni, che si convertirono al Cristianesimo a partire dalla metà del I° Secolo grazie all'opera San Gregorio, furono i primi a riconoscere il Cristianesimo come religione ufficiale. Si può dire quindi che l'Armenia è stata la prima nazione cristiana del mondo

In seguito alla divisione tra Chiesa Cattolica e Chiesa Ortodossa, l'Armenia aderisce alla Chiesa Orientale Ortodossa, conservando i propri rituali (Rito Armeno). Questo popolo quindi, conservando una propria religione (quella Cristiana Ortodossa) e una propria lingua, si è sempre distinto da tutti gli altri popoli per la sua forte identità culturale . 


L'Armenia viene conquistata
Trovandosi proprio a metà fra Oriente e Occidente, cioè su un'importantissima via di comunicazione che conduceva verso l'Asia, queste terre furono spesso contese fra diversi popoli che ne volevano il dominio. A livello politico l'Armenia venne infatti conquistata e dominata prima dai Turchi Selgiucidi (1071), poi nel 1375 dai Mamelucchi egiziani e infine nel 1500 dai Turchi Ottomani che imposero agli infedeli (cioè ai Cristiani e agli Ebrei) il pagamento di tributi straordinari per continuare a vivere all'interno del territorio. 

Gli armeni furono quindi sottomessi e per secoli vissero nell’ombra dell’Impero Ottomano, considerati come cittadini di seconda classe, a cui venivano imposte molte limitazioni. Ad esempio gli veniva impedito di indossare i loro vestiti tradizionali, le loro chiese non potevano affacciarsi sulla pubblica strada, era molto difficile per loro trovare un impiego nella pubblica amministrazione.  

Primo genocidio - Fine 1800

Alla fine dell’Ottocento, il Sultano turco Abdul Hamid diede inizio ad una serie di persecuzioni contro gli Armeni che chiedevano maggiori garanzie e libertà per la loro comunità. Queste persecuzioni (avvenute tra il 1893 e il 1896) causarono circa 300 mila morti. Questo è considerato il Primo Genocidio Armeno e, nonostante ci siano state ampie testimonianze di quanto stava accadendo, le potenze europee, come la Francia, la Gran Bretagna e la Russia, che erano tradizionalmente a favore della “causa armena”, non intervennero nei confronti della Turchia. In seguito al Primo Genocidio, ci fu una forte emigrazione di Armeni verso i Paesi Europei (soprattutto verso la Francia) e l’America del Nord.

Il Genocidio del 1915

All'inizio del '900, nell’impero ottomano si fece strada il movimento dei “Giovani Turchi” che avevano in progetto di rovesciare il sultanato per portare più libertà ai cittadini. Anche gli Armeni li appoggiarono sperando in un sistema più libero e democratico, ma dovettero presto fare i conti con un'altra realtà: infatti, dopo aver preso il potere con un colpo di stato, i Giovani Turchi ripresero con più forza le persecuzioni a danno degli armeni. L'ala ultranazionalistica del partito, infatti, voleva raggiungere il Panturchismo, ma si trovava di fronte due ostacoli: il primo erano i Curdi, che però essendo mussulmani e non avendo una forte cultura nazionale potevano essere facilmente assimilati nella nuova società. Il secondo ostacolo era rappresentato dagli Armeni, che non solo erano cristiani, ma avevano anche una cultura millenaria, con proprie tradizioni e una propria lingua. Quindi dovevano essere eliminati. 

Nell’aprile 1909 nella zona di Adanà  ci fu una violenta azione contro gli Armeni, che il Governo tacitamente permise. In pochi giorni vennero uccisi circa 30.000 Armeni. Nel 1913, si formò una Dittatura militare e, nel febbraio 1915, il Governo turco decise la sistematica eliminazione degli Armeni, attraverso la costituzione di una struttura paramilitare, denominata Organizzazione Speciale. 

Il genocidio fu realizzato in quattro fasi: 

  • elite culturale e politica
La prima fase iniziò nella notte tra venerdì 23 ed sabato 24 aprile del 1915 a Costantinopoli, quando vennero arrestate circa 2.500 persone, che rappresentavano l'elite culturale e religiosa armena (cioè erano politici, professionisti, giornalisti, avvocati, medici, scrittori, sacerdoti, etc.). Gli arrestati furono deportati nelle zone interne della Turchia e poi eliminati perché rappresentavano una “minaccia” per lo Stato turco in quanto “guida” politica, civile e religiosa della Comunità armena. 
  • forze armate
La seconda fase del genocidio riguardò l'eliminazione dei militari armeni che prestavano servizio nelle Forze Armate: i soldati vennero disarmati ed inseriti in Reparti del Genio e poi mandati a lavorare nelle Regioni di confine, dove vennero progressivamente eliminati. Nel complesso, vennero uccisi circa 350.000 Armeni. Si procedette inoltre ad una vera e propria “pulizia etnica” in tutti i settori della Pubblica Amministrazione.

  • deportazione nei campi di internamento
La terza fase del genocidio doveva realizzarsi mediante il “trasferimento” nelle regioni meridionali dell’Impero Ottomano della popolazione armena, che risiedeva vicino al confine russo, dato che erano sospettati di tradimento proprio a favore della Russia. L’obiettivo in realtà era quello di eliminare la popolazione armena mediante la deportazione nei deserti della Siria e della Mesopotamia. Questo "trasferimento" si rivelò infatti una vera e propria “deportazione forzata”: si marciava a piedi ed in condizioni molto dure a livello climatico. Moltissimi morirono di fatica, di fame e di sete, molto prima di arrivare ai Centri di raccolta o ai Campi di internamento.
  • Morte nei campi di internamento
La quarta fase del genocidio interessò circa 870.000 Armeni che erano riusciti ad arrivare vivi nei campi di internamento, collocati in zone molto isolate della Siria e della Mesopotamia. Questi campi non erano vere e proprie prigioni: non c'erano né recinzioni né sorveglianza armata. Ma i deportati vi morivano comunque per la fame, la sete e a causa delle epidemie che si sviluppavano nei campi. Alla fine i pochi sopravvissuti furono eliminati con metodi brutali e cruenti (ad esempio, infilzandoli con le baionette o annegandoli nel fiume Eufrate). 

Annientamento culturale

L'annientamento del popolo armeno proseguì poi anche a livello culturale: il governo turco cercò infatti di "turchizzare"  le Regioni Orientali, abitate fino al 1915 prevalentemente da Armeni e da altre minoranze cristiane, cancellando ogni traccia della presenza e della cultura armena, fino a negare addirittura che gli Armeni, in quelle regioni, fossero mai esistiti. A molte località armene venne              “ turchizzato” il nome, ad esempio il Monte Ararat (dove si sarebbe fermata l’Arca di Noè, dopo il Diluvio Universale) fu chiamato Agri Dagi. Anche il patrimonio culturale armeno venne in gran parte distrutto: nel 1915 c’erano oltre 3.500 monumenti armeni (monasteri, chiese, scuole, biblioteche…); di questi, nel 1916, ne rimanevano appena 500, alcuni gravemente danneggiati.




A Yerevan, la capitale dell’Armenia oggi sorge il monumento che ricorda le vittime del genocidio. Il suo nome è Tzitzernakaberd che letteralmente significa “la fortezza delle rondini". E' un luogo meta di pellegrinaggio in ogni giorno dell’anno, ma il 24 aprile (data simbolo dell’inizio del genocidio) sono migliaia gli armeni che si mettono in fila per deporre un fiore davanti alla fiamma perenne. 

sabato 13 febbraio 2021

PARAFRASI LA FAVOLA DEI SUONI GALILEO

Mi sembra, in base a diverse esperienze da me fatte, che l'atteggiamento degli uomini verso le questioni intellettuali sia questo, cioè che le persone meno conoscono una determinata cosa e più vogliono parlarne e che, al contrario, la gran mole di cose conosciute e comprese renda più lento e difficile l'esprimersi riguardo alle novità. 

In un luogo molto solitario nacque un uomo che era naturalmente dotato di un intelligenza acuta e di una straordinaria curiosità, il quale, come passatempo, allevava uccelli per godere del loro canto e, meravigliandosi molto, si rendeva conto che essi, con la stessa semplicità con cui respiravano, potevano anche emettere suoni diversi, ma tutti bellissimi.  

Una notte, vicino a casa sua, gli capitò di sentire un suono molto delicato e, pensando che potesse essere un nuovo tipo di uccello, andò per catturarlo, ma arrivato sulla strada, vide che era un giovane pastore che, soffiando in un legnetto forato e muovendo le dita sopra i fori, aprendoli e chiudendoli, riusciva ad emettere suoni simili a quelli di un uccello, ma in modo diverso. 

Stupito e incuriosito, regalò al pastore un vitello in cambio di quello zufolo e, dopo aver riflettuto, rendendosi conto che, se il pastore non si fosse trovato a passare di lì, lui non avrebbe mai conosciuto il modo di creare suoni così delicati, decise di andare via di casa per vivere qualche altra avventura. 

Così accadde che, il giorno seguente, passando accanto ad una povera abitazione, sentì nuovamente un suono simile e, per capire se fosse uno zufolo oppure un merlo, entrò e trovò un ragazzo che con la mano destra teneva un archetto e lo passava su alcune corde tese sopra ad un legno che aveva una rientranza, mentre con la sinistra teneva lo strumento e vi muoveva sopra le dita, e senza usare il fiato, riusciva a creare suoni diversi, ma molto dolci. Gli unici che possono capire il suo stupore sono coloro che possiedono la stessa intelligenza e curiosità di quell'uomo, il quale, colto alla sprovvista da due nuovi modi di creare voci e canti tanto inaspettati, iniziò a pensare che in natura potessero essercene molti altri. 

Grande fu la sua meraviglia quando, entrando in un tempio si era nascosto dietro una porta per vedere chi avesse suonato, ma il suono era provocato dal movimento dei ferri e dagli anelli (sono parte dei cardini della porta) quando si apriva la porta. Un'altra volta, mosso dalla curiosità, entrò in un'osteria pensando di vedere qualcuno che con l'archetto toccasse delicatamente le corde di un violino,  e invece trovò un uomo che, sfregando il polpastrello sull'orlo di un bicchiere, riusciva a produrre un suono dolcissimo. 

Ma poi, quando gli capitò di osservare che le vespe, le zanzare e i mosconi producevano suoni ininterrotti non con il fiato come facevano i suoi uccellini, ma con il rapidissimo battere delle ali, quanto più la sua meraviglia aumentava, tanto più si indebolivano le sue certezze riguardo al modo in cui un suono può essere creato; e tutte le cose che aveva visto non sarebbero bastate a fargli capire come i grilli, pur non volando, potessero creare un suono così forte solo con il muovere le ali. 

E quando credeva che non ci potessero essere altri modi di creare suoni, dopo aver visto, oltre a tutto ciò che già è stato detto, ancora molti organi, trombe, flauti, strumenti a corde di tantissimi tipi, fino a quella linguetta di ferro che, messa fra denti, usa la cavità della bocca come cassa di risonanza per veicolare il suono, quando, dicevo, egli credeva di aver visto tutto, si trovò più che mai immerso nell'ignoranza e nello stupore quando gli capitò di trovarsi in mano una cicala che, pur chiudendole la bocca o fermandole le ali, non smetteva di emettere quel suono rumoroso, e di cui non si vedevano muovere le scaglie né altra parte del corpo da cui potesse arrivare il suono, e alla fine solo alzandole la cassa toracica e trovando alcune cartilagini due e sottili, pensando che il suono derivasse da quelle, si decise a romperle per vedere se il suono smetteva, ma senza risultato, e allora spinse l'ago più a fondo nella cicala, fino ad ucciderla, così che non seppe mai come essa producesse il suo verso; allora l'uomo arrivò ad un punto tale di incertezza nella sua conoscenza che, se gli si domandava come si producessero i suoni, rispondeva di conoscere alcuni modi per farlo, ma che era certissimo che ce ne fossero altri cento sconosciuti e imprevedibili. 



martedì 9 febbraio 2021

ADDIO AI MONTI FIGURE RETORICHE

 "Non tirava un alito di vento: il lago giaceva liscio e piano (endiadi), e sarebbe parso immobile, se non fosse stato il tremolare e l'ondeggiar leggero della luna(metonimia), che vi si specchiava da mezzo il cielo. S'udiva soltanto il fiotto morto e lento(endiadi) frangersi sulle ghiaie del lido, il gorgoglìo (onomatopea) più lontano  dell'acqua rotta tra le pile del ponte, e il tonfo (onomatopea) misurato di que'(apocope)due remi, che tagliavano la superficie azzurra del lago, uscivano a un colpo grondanti, e si rituffavano. L'onda segata dalla barca, riunendosi dietro la poppa, segnava una striscia increspata, che s'andava allontanando dal lido. I passeggeri silenziosi, con la testa voltata indietro, guardavano i monti, e il paese rischiarato dalla luna, e variato qua e là di grand'ombre. Si distinguevano i villaggi, le case, le capanne: il palazzotto di don Rodrigo, con la sua torre piatta, elevato sopra le casucce ammucchiate alla  falda del promontorio, pareva un feroce che, ritto nelle tenebre, in mezzo a una compagnia  d'addormentati, vegliasse, meditando un delitto (similitudine). Lucia lo vide, e rabbrividì; scese con l'occhio giù giù (epanalessi) per la china, fino al suo paesello, guardò fisso all'estremità, scoprì la sua casetta, scoprì la chioma folta del fico che sopravanzava il muro del cortile, scoprì la finestra della sua camera; e, seduta, com'era, nel fondo della barca, posò il braccio sulla sponda, posò sul braccio la fronte, come per dormire(similitudine), e pianse segretamente. Addio (anafora), monti sorgenti dall'acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l'aspetto de' suoi più familiari (similitudine); torrenti, de' quali distingue lo scroscio (onomatopea), come il suono delle voci domestiche (similitudine); ville sparse e biancheggianti sul pendìo, come branchi di pecore pascenti (similitudine); addio! Quanto è tristo il passo di chi (ripetizione), cresciuto tra voi, se ne allontana! Alla fantasia di quello stesso che se ne parte volontariamente, tratto dalla speranza di fare altrove fortuna, si disabbelliscono, in quel momento, i sogni della ricchezza; egli si maraviglia d'essersi potuto risolvere, e tornerebbe allora indietro, se non pensasse che, un giorno, tornerà dovizioso. Quanto più si avanza nel piano, il suo occhio si ritira, disgustato e stanco, da quell'ampiezza uniforme; l'aria gli par gravosa e morta(endiadi); s'inoltra mesto e disattento nelle città tumultuose; le case aggiunte a case, le strade che sboccano nelle strade, pare che gli levino il respiro(similitudine); e davanti agli edifizi ammirati dallo straniero, pensa, con desiderio inquieto, al campicello del suo paese, alla casuccia a cui ha già messo gli occhi addosso, da gran tempo, e che comprerà, tornando ricco a' suoi monti. Ma chi (ripetizione) non aveva mai spinto al di là di quelli neppure un desiderio fuggitivo, chi (ripetizione) aveva composti in essi tutti i disegni dell'avvenire, e n'è sbalzato lontano, da una forza perversa! Chi (ripetizione), staccato a un tempo dalle più care abitudini, e disturbato nelle più care speranze, lascia que' monti, per avviarsi in traccia di sconosciuti che non ha mai desiderato di conoscere, e non può con l'immaginazione arrivare a un momento stabilito per il ritorno! Addio (anafora)casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s'imparò a distinguere dal rumore de' passi comuni il rumore d'un passo aspettato con un misterioso timore. Addio (anafora), casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore (litote); nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio (anafora), chiesa, dove l'animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov'era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore (metafora) doveva essere solennemente benedetto, e l'amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio! Chi dava a voi tanta giocondità è per tutto; e non turba mai la gioia de' suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande. Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia, e poco diversi i pensieri degli altri due pellegrini, mentre la barca gli andava avvicinando alla riva destra dell'Adda".




domenica 7 febbraio 2021

COME IN UNA CATTEDRALE PARAFRASI MARIA LUISA SPAZIANI

Entro in questo amore come in una cattedrale,
come in un ventre oscuro di balena.
Mi risucchia un’eco di mare, e dalle grandi volte
scende un corale antico che è fuso alla mia voce.

Tu, scelto a caso dalla sorte, ora sei l’unico,
il padre, il figlio, l’angelo e il demonio.
Mi immergo a fondo in te, il più essenziale abbraccio,
e le tue labbra restano evanescenti sogni.

Prima di entrare nella grande navata,
vivevo lieta, ero contenta di poco.
Ma il tuo fascio di luce, come un’immensa spada,
relega nel nulla tutto quanto non sei.


PARAFRASI

Mi accosto a questo sentimento come se entrassi dentro una cattedrale, dentro il ventre buio di una balena. L'eco del rumore mare mi trascina via e dalle ampie volte (della cattedrale) scende la musica di un coro antico che si fonde con la mia voce.   
Il destino ti ha posto accanto a me, ora sei unico (per me), sei il padre, il figlio, l'angelo e  il demone. Entro profondamente nel tuo essere, abbraccio fondamentale, e le tue labbra diventano sogni vaghi. Prima di entrare nella navata (della cattedrale) vivevo felice, ero contenta con poco. Ma la grande luce che tu emani fa apparire come il nulla tutto ciò che non sei tu.


METRO

Lirica composta da tre quartine in versi liberi


COMMENTO

La poesia di Maria Luisa Spaziani si apre con due similitudini in cui l'amore è paragonato all'ingresso in una cattedrale e nel ventre di una balena. Seguono poi due metafore ("un eco di mare" e " un corale antico") che descrivono gli effetti che questo sentimento d'amore ha sull'autrice. Troviamo poi una serie di antitesi che raccontano la figura dell'uomo di cui è innamorata: è padre e figlio, angelo e demone insieme. Le labbra dell'amante diventano, in una metafora, anche sogni vaghi e indistinti. Labbra è anche una sineddoche, per indicare la bocca dell'amante. 


 

NOTE SULL'AUTRICE

Maria Luisa Spaziani è stata una poetessa italiana, nata a Torino nel 1922. Mentre è ancora studentessa, dirige una piccola rivista, chiamata "Il Girasole" e poi "Il Dado"  grazie a cui entra in contatto con l'ambiente letterario della sua città. Dopo la laurea in Lingue, nel 1949 incontra il poeta Eugenio Montale, con cui inizia una lunga e affettuosa amicizia. La sua prima raccolta poetica è Le acque del Sabato, pubblicata nel 1954. Dal 1956 insegna Francese in un collegio di Torino ed sarà proprio il contatto con i giovani studenti a darle ispirazione per le poesie raccolte in Luna lombarda (1959). 
Nel 1960 è chiamata a insegnare, all' Università di Messina, Lingua e letteratura tedesca e poi Lingua e letteratura francese. Affianca l attività di poetessa e di insegnante con quella di traduttrice: sue sono le versioni italiane di Gustave Flaubert, André Gide, Marguerite Yourcenar. Tra le sue raccolte poetiche, che le danno fama mondiale, ricordiamo: L occhio del ciclone (1970), Transito con catene (1970), Geometria del disordine (1981), Giovanna d Arco (1990), La traversata dell oasi (2002), La luna è già alta (2006), L'incrocio delle mediane (2008). 
Si spegne a Roma, all' età di novantun anni, nel 2014

mercoledì 3 febbraio 2021

RACCOLTA DOMANDE SU PETRARCA

Raccolta di domande con relativa risposta su Francesco Petrarca per prepararsi ad un'interrogazione o ad una verifica scritta. 


1) Che cosa cerca Petrarca nei classici, tanto amati e studiati?
Per Petrarca gli studi classici servono a interpretare il presente, a riflettere sul destino dell’umanità, a praticare valori e rapporti umani più autentici e positivi, come la libertà, la giustizia, la pace.


2) Differenza principale tra Dante e Petrarca
Dante rappresenta l’intellettuale cittadino, dedito ad un attivo impegno politico e legato agli schemi medioevali; Petrarca invece è l’intellettuale cosmopolita, legato a nessuna tradizione municipale e aperto a nuove conoscenze. Il contesto storico-politico degli anni in cui hanno vissuto Dante e Petrarca delinea anche il loro modo di essere, la loro visione del mondo che poi è rispecchiata nelle loro opere.
Dante è dotato di un sapere enciclopedico e questo lo notiamo soprattutto nelle sue opere: la Commedia, la sua opera più importante nella quale tratta innumerevoli temi; le Rime, in cui esprime la sua passione per la conoscenza e le difficoltà per raggiungerla; il Convivio, dove vengono trattati svariati argomenti. Petrarca, invece, concentra la sua produzione scritta sull’uomo, in particolare su sé stesso e sul proprio dissidio interiore (come fa ad esempio nel Canzoniere). La condizione di peccatore del poeta, insicuro e tormentato, è di valore universale: la condizione poeta rispecchia anche la condizione dell’uomo di quel periodo storico.


3) Molti individuano in Petrarca il primo vero intellettuale moderno. Perché?
In quanto egli pone al centro delle sue tematiche il proprio dissidio interiore, o anche in modo generalizzato,  l'uomo e i suoi problemi, curandosi meno della vita politica. 


4)Come ha influito la morte di laura sulla poetica petrarchesca? 

Il periodo 1347-1348 fu un periodo costellato di eventi funesti per Francesco Petrarca. Dopo la scomparsa di Giovanni Colonna, morì anche Laura, stroncata dalla peste ad Avignone nel luglio del 1348. Quando ne ebbe notizia Petrarca si trovava a Verona. È difficile stabilire quanto questi eventi abbiano inciso sull’animo di Francesco, ma essi ebbero una forte valenza simbolica, di frattura e di passaggio da una stagione all’altra della vita, che lo indussero a comprendere di essere giunto a un momento esistenziale decisivo.  


5)Perché Petrarca rifiuta la filosofia scolastica per abbracciare il pensiero agostiniano?
Perché la filosofia scolastica costruita sul modello aristotelico aveva la pretesa di catalogare tutte le manifestazioni della realtà (compreso Dio) in degli schemi aridi e fissi. Per Petrarca queste catalogazioni di dottrine nn hanno senso in quanto pensava che la vera essenza della filosofia fosse la ricerca interiore dell'individuo tramite la quale potrà raggiungere un'armonia, superando i conflitti dell'animo. Quindi, mentre Dante ha fiducia in un ordine unitario e fonda il suo pensiero sulla filosofia della Scolastica, prendendo come punto di riferimento S. Tommaso, Petrarca fonda il suo pensiero sulla filosofia che pone l’uomo al centro della sua indagine e che studia la sua interiorità, così si affida al pensiero di S. Agostino che cita anche nella sua opera Secretum, delineandolo come l’uomo che lo aiuta a raggiungere la salvezza eterna nel suo continuo dissidio interiore tra i piaceri terreni e l’elevazione spirituale.


6)Perché Petrarca viene considerato il precursore dell'Umanesimo?
Per il grande interesse nel recupero delle opere classiche(latine e greche). Gli umanisti infatti avevano un grande amore per la filologia e proprio per questo Petrarca può essere considerato un loro precursore. Egli dedica la propria intera vita a questi studi, come già il Boccaccio; ma un altro fatto che lo contraddistingue come uno dei primi umanisti è che fu uno dei primi ad essere intellettuale ospite delle corti, per cui viaggia di città in città, al contrario di Dante che invece è stato sempre legato alla sua città natale Firenze.

7) Differenza tra le rime in vita e le rime in morte di Laura nel Canzoniere di Petrarca
Le rime in vita di Laura: ella viene descritta come angelo ma indifferente alla passione del poeta. Petrarca è tormentato interiormente e alterna gioia a crisi(dissidio tra il desiderio d'amore e l'ideale ascetico)
Le rime in morte di Laura: ella è mite e compassionevole verso Petrarca che prova nostalgia per lei ed è addolorato per la sua morte. 

8) Il sentimento dell'accidia in Petrarca
L'accidia è la mancanza di volontà e per quanto riguarda Petrarca si riferisce al fatto che il poeta non riesce ad amare Dio soltanto, perchè è troppo legato al concetto di amore "terreno", l'amore verso Laura che ostacola il suo cammino spirituale verso Dio. Petrarca non ha la forza di volontà e si arrende alla sua natura di peccatore.


9) Perché Petrarca è detto l'uomo del dubbio?
Perché fino alla morte è stato turbato da un profondo dissidio che si riflette nel contenuto delle sue opere: il dissidio fra i beni terreni e i beni ultraterreni, l'amore per Laura e l'amore per Dio. Non riesce a rinunciare a nessuno dei due. Solo nello scrivere sembra trovare un po' di pace, ma il suo animo resta per sempre tormentato.

10) Perché Petrarca è detto l'uomo della crisi?
Petrarca è segno ed emblema della crisi della sua epoca: il 1300 rappresenta la crisi di quei valori religiosi, culturali ed umani, che avevano caratterizzato il Medioevo.
Ci stiamo avvicinando al Rinascimento, ad una nuova concezione dell'uomo, ad un suo rinnovato rapporto con Dio. Petrarca è la punta che segna lo spartiacque tra il mondo tutto medievale di Dante e quello pre-umanista di Boccaccio, tra la perfezione del mondo teocentrico della divina commedia del primo e il caos antropocentrico, individualistico, della commedia umana del secondo. Il passaggio dall'una all'altra concezione con Petrarca ancora non è avvenuto.


11) Perché Petrarca può essere considerato cosmopolita?
Petrarca condusse una intensa vita mondana, ricca di incontri, feste e divertimenti, incominciando anche a mettersi in luce per il suo talento letterario. Nel 1330 entrò al servizio del cardinale Giovanni Colonna come cappellano di famiglia, carica che fra l’altro gli consentì di intraprendere numerosi viaggi nella Francia settentrionale, in Renania e nelle Fiandre (a Liegi scoprì nel 1333 l’orazione ciceroniana Pro Archia, inizio fortunato di tante altre scoperte umanistiche). L’amore per i viaggi rivela fra l’altro la sua indole cosmopolita, aliena dal municipalismo di molti suoi contemporanei, e una inclinazione a conoscere e a sperimentare ambienti sempre nuovi e diversi che non lo abbandonò mai, neppure nella vecchiaia.

12) Indica i motivi polemici anti ecclesiastici presenti nelle opere petrarchesche, segnalando il rapporto che l'autore ebbe con la curia avignonese.
Nel 1330 Petrarca entra negli ordini ecclesiastici minori facendo voto di celibato e diventa cappellano della famiglia del vescovo Giovanni Colonna, viaggiando in varie parti d'Europa.
Nel 1335 scambia una fitta corrispondenza col Papa (che allora aveva la sua sede ad Avignone) in riferimento alle rivolte in Italia e chiedendo il suo ritorno a Roma. Pur svolgendo importanti incarichi all'interno della Chiesa, Petrarca si sentì spesso in contrasto con l'ambiente ecclesiastico e culturale di Avignone ed infatti scrisse anche scrive poesie anticlericali contro la corruzione della curia di Avignone, città francese che descrive come un ricettacolo di vizi e che diviene per Petrarca simbolo dell’espiazione che deve attuare la Chiesa in un esilio lontano dalla patria, nuova Babilonia