martedì 23 aprile 2013

ANALISI DE "I CARUSI" DI ONOFRIO TOMASELLI

Onofrio Tomaselli nasce il 3 agosto 1866 a Bagheria, in Sicilia, ed inizia la sua formazione presso lo studio del manierista palermitano Pietro Volpes. In seguito si trasferisce a Napoli dove viene influenzato dalla scuola pittorica napoletana dell’epoca che annoverava artisti come Dalbono, Altamura e Morelli.
"I Carusi", realizzato nel 1905 dopo una visita alle solfatare di proprietà del barone La Lumia, venne presentato all'Esposizione Internazionale di Milano del 1906.
Il titolo fa riferimento ad un termine siciliano che significa letteralmente "ragazzi": in Sicilia i figli, sia maschi che femmine, secondo l'età venivano detti in successione picciriddi (0-5 anni circa), carusi (6-18 anni circa), picciotti (19-30 anni circa). Il quadro fu ispirato dal terribile incidente della miniera di Gessolungo, avvenuto nel 1881 e va visto come un  tributo dell'artista ai 19 giovani che persero la vita nell'incendio di alcune gallerie sotterranee.



Nel quadro il pittore illumina i fanciulli che emergono dall'oscurità della miniera con un sole radente che fa pensare ad un tardo pomerigggio: la luce è chiara, l'atmosfera sembra calda in contrasto con il freddo e il buio delle viscere della terra. I bambini escono finalmente dalla miniera anche se, provati dal peso dei sacchi, sembrano profondamente stanchi, tanto che il loro passo risulta lento e strascicato.
Uno di loro, stremato, è raffigurato accasciato a terra, con gli occhi chiusi, quasi vinto dalla stanchezza. Anche gli occhi degli altri bambini sono rivolti verso il basso, la testa è china e tutto, nel loro corpo, sembra voler testimoniare la condizione di fatica e abbrutimento cui erano costretti in così giovane età.

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