
Il suo nome deriva da "popular
art" ovvero arte popolare: non intesa come arte del popolo o
per il popolo ma, più puntualmente, come arte di massa, cioè
prodotta in serie. E poiché la massa non ha volto, l'arte che la
esprime deve essere il più possibile anonima: solo così potrà
essere compresa e accettata dal maggior numero possibile di
persone.
In un mondo basato sul consumismo, quest'arte respinge l'espressione dell'interiorità e
dell'istintività e si rivolge, piuttosto, al mondo esterno, all'insieme degli stimoli visivi che circondano l'uomo contemporaneo: il cosiddetto
"folclore urbano".
La Pop Art si apre dunque alle forme più popolari della comunicazione: i fumetti, la pubblicità, i
quadri riprodotti in serie. Il fatto di voler mettere sulla tela o in
scultura oggetti quotidiani elevandoli a manifestazione artistica si
può idealmente collegare al movimento svizzero Dada, ma, in questo caso, senza quella tutta la carica anarchica e provocatoria.
I maggiori rappresentanti di questa
tendenza sono tutti artisti americani: Andy Warhol, Claes Oldenburg,
Tom Wesselmann, James Rosenquist, Roy Lichtenstein ed altri.
Con sfumature diverse, gli artisti ripresero le immagini dei
mezzi di comunicazione di massa, del mondo del cinema e
dell'intrattenimento, della pubblicità.

Riassumendo si può dire che la pop art abbia documentato la cultura popolare americana, trasformando in icone le
immagini più note o simboliche tra quelle proposte dai mass media.