Oh beato terreno
Del vago Eupili mio,
Ecco al fin nel tuo seno
M’accogli; e del natìo
Aere mi circondi;
E il petto avido inondi.
Già nel polmon capace
Urta sè stesso e scende
Quest’etere vivace,
Che gli egri spirti accende,
E le forze rintegra,
E l’animo rallegra.
Però ch’austro scortese
Quì suoi vapor non mena:
E guarda il bel paese
Alta di monti schiena,
Cui sormontar non vale
Borea con rigid’ ale.
Nè quì giaccion paludi,
Che dall’impuro letto
Mandino a i capi ignudi
Nuvol di morbi infetto:
E il meriggio a’ bei colli
Asciuga i dorsi molli.
Pera colui che primo
A le triste ozïose
Acque e al fetido limo
La mia cittade espose;
E per lucro ebbe a vile
La salute civile.
Certo colui del fiume
Di Stige ora s’impaccia
Tra l’orribil bitume,
Onde alzando la faccia
Bestemmia il fango e l’acque,
Che radunar gli piacque.
Mira dipinti in viso
Di mortali pallori
Entro al mal nato riso
I languenti cultori;
E trema o cittadino,
Che a te il soffri vicino.
Io de’ miei colli ameni
Nel bel clima innocente
Passerò i dì sereni
Tra la beata gente,
Che di fatiche onusta
È vegeta e robusta.
Quì con la mente sgombra,
Di pure linfe asterso,
Sotto ad una fresc’ ombra
Celebrerò col verso
I villan vispi e sciolti
Sparsi per li ricolti;
E i membri non mai stanchi
Dietro al crescente pane;
E i baldanzosi fianchi
De le ardite villane;
E il bel volto giocondo
Fra il bruno e il rubicondo,
Dicendo: Oh fortunate
Genti, che in dolci tempre
Quest’aura respirate
Rotta e purgata sempre
Da venti fuggitivi
E da limpidi rivi.
Ben larga ancor natura
Fu a la città superba
Di cielo e d’aria pura:
Ma chi i bei doni or serba
Fra il lusso e l’avarizia
E la stolta pigrizia?
Ahi non bastò che intorno
Putridi stagni avesse;
Anzi a turbarne il giorno
Sotto a le mura stesse
Trasse gli scelerati
Rivi a marcir su i prati
E la comun salute
Sagrificossi al pasto
D’ambizïose mute,
Che poi con crudo fasto
Calchin per l’ampie strade
Il popolo che cade.
A voi il timo e il croco
E la menta selvaggia
L’aere per ogni loco
De’ varj atomi irraggia,
Che con soavi e cari
Sensi pungon le nari.
Ma al piè de’ gran palagi
Là il fimo alto fermenta;
E di sali malvagi
Ammorba l’aria lenta,
Che a stagnar si rimase
Tra le sublimi case.
Quivi i lari plebei
Da le spregiate crete
D’umor fracidi e rei
Versan fonti indiscrete;
Onde il vapor s’aggira;
E col fiato s’inspira.
Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
De gli aliti corrotti
Empion l’estivo die:
Spettacolo deforme
Del cittadin su l’orme!
Nè a pena cadde il sole
Che vaganti latrine
Con spalancate gole
Lustran ogni confine
De la città, che desta
Beve l’aura molesta.
Gridan le leggi è vero;
E Temi bieco guata:
Ma sol di sè pensiero
Ha l’inerzia privata.
Stolto! E mirar non vuoi
Ne’ comun danni i tuoi?
Ma dove ahi corro e vago
Lontano da le belle
Colline e dal bel lago
E dalle villanelle,
A cui sì vivo e schietto
Aere ondeggiar fa il petto?
Va per negletta via
Ognor l’util cercando
La calda fantasìa,
Che sol felice è quando
L’utile unir può al vanto
Di lusinghevol canto.
Del vago Eupili mio,
Ecco al fin nel tuo seno
M’accogli; e del natìo
Aere mi circondi;
E il petto avido inondi.
Già nel polmon capace
Urta sè stesso e scende
Quest’etere vivace,
Che gli egri spirti accende,
E le forze rintegra,
E l’animo rallegra.
Però ch’austro scortese
Quì suoi vapor non mena:
E guarda il bel paese
Alta di monti schiena,
Cui sormontar non vale
Borea con rigid’ ale.
Nè quì giaccion paludi,
Che dall’impuro letto
Mandino a i capi ignudi
Nuvol di morbi infetto:
E il meriggio a’ bei colli
Asciuga i dorsi molli.
Pera colui che primo
A le triste ozïose
Acque e al fetido limo
La mia cittade espose;
E per lucro ebbe a vile
La salute civile.
Certo colui del fiume
Di Stige ora s’impaccia
Tra l’orribil bitume,
Onde alzando la faccia
Bestemmia il fango e l’acque,
Che radunar gli piacque.
Mira dipinti in viso
Di mortali pallori
Entro al mal nato riso
I languenti cultori;
E trema o cittadino,
Che a te il soffri vicino.
Io de’ miei colli ameni
Nel bel clima innocente
Passerò i dì sereni
Tra la beata gente,
Che di fatiche onusta
È vegeta e robusta.
Quì con la mente sgombra,
Di pure linfe asterso,
Sotto ad una fresc’ ombra
Celebrerò col verso
I villan vispi e sciolti
Sparsi per li ricolti;
E i membri non mai stanchi
Dietro al crescente pane;
E i baldanzosi fianchi
De le ardite villane;
E il bel volto giocondo
Fra il bruno e il rubicondo,
Dicendo: Oh fortunate
Genti, che in dolci tempre
Quest’aura respirate
Rotta e purgata sempre
Da venti fuggitivi
E da limpidi rivi.
Ben larga ancor natura
Fu a la città superba
Di cielo e d’aria pura:
Ma chi i bei doni or serba
Fra il lusso e l’avarizia
E la stolta pigrizia?
Ahi non bastò che intorno
Putridi stagni avesse;
Anzi a turbarne il giorno
Sotto a le mura stesse
Trasse gli scelerati
Rivi a marcir su i prati
E la comun salute
Sagrificossi al pasto
D’ambizïose mute,
Che poi con crudo fasto
Calchin per l’ampie strade
Il popolo che cade.
A voi il timo e il croco
E la menta selvaggia
L’aere per ogni loco
De’ varj atomi irraggia,
Che con soavi e cari
Sensi pungon le nari.
Ma al piè de’ gran palagi
Là il fimo alto fermenta;
E di sali malvagi
Ammorba l’aria lenta,
Che a stagnar si rimase
Tra le sublimi case.
Quivi i lari plebei
Da le spregiate crete
D’umor fracidi e rei
Versan fonti indiscrete;
Onde il vapor s’aggira;
E col fiato s’inspira.
Spenti animai, ridotti
Per le frequenti vie,
De gli aliti corrotti
Empion l’estivo die:
Spettacolo deforme
Del cittadin su l’orme!
Nè a pena cadde il sole
Che vaganti latrine
Con spalancate gole
Lustran ogni confine
De la città, che desta
Beve l’aura molesta.
Gridan le leggi è vero;
E Temi bieco guata:
Ma sol di sè pensiero
Ha l’inerzia privata.
Stolto! E mirar non vuoi
Ne’ comun danni i tuoi?
Ma dove ahi corro e vago
Lontano da le belle
Colline e dal bel lago
E dalle villanelle,
A cui sì vivo e schietto
Aere ondeggiar fa il petto?
Va per negletta via
Ognor l’util cercando
La calda fantasìa,
Che sol felice è quando
L’utile unir può al vanto
Di lusinghevol canto.
Oh terra felice del mio bel lago di Pusiano, finalmente mi accogli nel tuo abbraccio; e mi avvolgi con l'aria del luogo natale, e mi riempi il petto desideroso di aria pura.
Quest'aria tonificante entra impetuosamente nei polmoni che si dilatano, guarendo gli spiriti malati, rinvigorendo le forze indebolite e rallegrando l'animo.
Perché lo scirocco nocivo non arriva qui a portare umidità: e un'alta catena di monti, che la tramontana non riesce a valicare con il suo soffio gelido, protegge il paese.
Qui non ristagnano paludi che dal fondo fangoso emanano verso le teste non protette delle persone una nebbia infetta di malattie: il sole di mezzogiorno rende asciutti i dorsi bagnati di rugiada dei bei colli.
Possa morire colui che per primo espose la mia città alle infide acque stagnanti e al fango maleodorante; e che per sete di guadagno disprezzò la salute dei cittadini.
Certamente costui ora si dibatte nel fango orrido del fiume Stige, da cui sollevando il viso maledice il fango e le acque che decise di raccogliere intorno alla città.
Guarda (o lettore) gli agricoltori malati, segnati in viso da un pallore mortale in mezzo al riso maledetto; e trema, o cittadino, tu che sopporti di averne la coltivazione così vicina a te.
Io nel bel clima privo di pericoli dei miei dolci colli vivrò felicemente tra gente lieta, che, per quanto gravata dalle fatiche, è sana e florida.
Qui, con la mente libera, purificato in acque limpide, al riparo di un'ombra fresca, celebrerò con i miei versi i contadini vivaci e agili sparsi per i campi coltivati ;
e le loro membra instancabili nella coltivazione del grano; e i fianchi esuberanti delle spavalde contadine; e il loro bel volto allegro, abbronzato e rossastro,
dicendo: Oh genti fortunate, che in un clima mite respirate quest'aria sempre mossa e purificata da venti fugaci e da limpidi ruscelli.
La natura fu ben generosa di cielo e d'aria pura anche nei confronti di Milano: ma chi conserva ora quei bei doni, fra il lusso e l'avidità (avarizia) e la dissennata indolenza?
Non fu sufficiente, ahimè, che avesse intorno stagni putridi; anzi, per inquinare ancor più la propria aria, essa ha portato fin sotto le sue mura le acque maledette per farle marcire sui prati
e la salute collettiva fu sacrificata per procurare il pasto a lussuose pariglie di cavalli, le stesse che poi, con crudele ostentazione di ricchezza, calpestano sulle ampie strade il popolo, che ne è travolto.
A voi il timo, lo zafferano e la menta selvatica riempiono in ogni luogo l'aria dei loro vari effluvi aromatici, che stimolano le narici con sensazioni dolci e gradevoli.
Invece ai piedi dei palazzi cittadini alti mucchi di letame imputridiscono; e ammorbano con esalazioni nocive l'aria inerte, che è rimasta a stagnare fra gli alti edifici.
Qui le case dei poveri rovesciano in strada cascate sconvenienti di liquami malsani e nocivi dai vasi più umili ; da essi si diffonde un fetore che si inala respirando.
Animali morti, abbandonati per le vie affollate, riempiono il giorno d'estate con le loro esalazioni malsane: che spettacolo ripugnante sul cammino dei cittadini!
E appena cala il sole, i carri dei rifiuti, con le coperture aperte, percorrono ogni quartiere della città, che, ancora sveglia, respira quell'aria nociva.
Le leggi lo vietano, è vero; e Temi osserva con severità quello che accade: ma la pigrizia dei privati cittadini si cura soltanto di sé stessa. Cittadino dissennato! Non riesci a vedere, nel danno collettivo, anche il tuo stesso danno?
Ahimè, ma dove corro, dove vado vagabondo, lontano dai bei colli e dal bel lago e dalle contadinelle, alle quali l'aria così vivace e pura fa ondeggiare il petto?
La mia appassionata ispirazione, che è felice solo quando può unire l'utilità al merito di un canto piacevole, procede per una via trascurata, cercando sempre l'utile sociale.
Quest'aria tonificante entra impetuosamente nei polmoni che si dilatano, guarendo gli spiriti malati, rinvigorendo le forze indebolite e rallegrando l'animo.
Perché lo scirocco nocivo non arriva qui a portare umidità: e un'alta catena di monti, che la tramontana non riesce a valicare con il suo soffio gelido, protegge il paese.
Qui non ristagnano paludi che dal fondo fangoso emanano verso le teste non protette delle persone una nebbia infetta di malattie: il sole di mezzogiorno rende asciutti i dorsi bagnati di rugiada dei bei colli.
Possa morire colui che per primo espose la mia città alle infide acque stagnanti e al fango maleodorante; e che per sete di guadagno disprezzò la salute dei cittadini.
Certamente costui ora si dibatte nel fango orrido del fiume Stige, da cui sollevando il viso maledice il fango e le acque che decise di raccogliere intorno alla città.
Guarda (o lettore) gli agricoltori malati, segnati in viso da un pallore mortale in mezzo al riso maledetto; e trema, o cittadino, tu che sopporti di averne la coltivazione così vicina a te.
Io nel bel clima privo di pericoli dei miei dolci colli vivrò felicemente tra gente lieta, che, per quanto gravata dalle fatiche, è sana e florida.
Qui, con la mente libera, purificato in acque limpide, al riparo di un'ombra fresca, celebrerò con i miei versi i contadini vivaci e agili sparsi per i campi coltivati ;
e le loro membra instancabili nella coltivazione del grano; e i fianchi esuberanti delle spavalde contadine; e il loro bel volto allegro, abbronzato e rossastro,
dicendo: Oh genti fortunate, che in un clima mite respirate quest'aria sempre mossa e purificata da venti fugaci e da limpidi ruscelli.
La natura fu ben generosa di cielo e d'aria pura anche nei confronti di Milano: ma chi conserva ora quei bei doni, fra il lusso e l'avidità (avarizia) e la dissennata indolenza?
Non fu sufficiente, ahimè, che avesse intorno stagni putridi; anzi, per inquinare ancor più la propria aria, essa ha portato fin sotto le sue mura le acque maledette per farle marcire sui prati
e la salute collettiva fu sacrificata per procurare il pasto a lussuose pariglie di cavalli, le stesse che poi, con crudele ostentazione di ricchezza, calpestano sulle ampie strade il popolo, che ne è travolto.
A voi il timo, lo zafferano e la menta selvatica riempiono in ogni luogo l'aria dei loro vari effluvi aromatici, che stimolano le narici con sensazioni dolci e gradevoli.
Invece ai piedi dei palazzi cittadini alti mucchi di letame imputridiscono; e ammorbano con esalazioni nocive l'aria inerte, che è rimasta a stagnare fra gli alti edifici.
Qui le case dei poveri rovesciano in strada cascate sconvenienti di liquami malsani e nocivi dai vasi più umili ; da essi si diffonde un fetore che si inala respirando.
Animali morti, abbandonati per le vie affollate, riempiono il giorno d'estate con le loro esalazioni malsane: che spettacolo ripugnante sul cammino dei cittadini!
E appena cala il sole, i carri dei rifiuti, con le coperture aperte, percorrono ogni quartiere della città, che, ancora sveglia, respira quell'aria nociva.
Le leggi lo vietano, è vero; e Temi osserva con severità quello che accade: ma la pigrizia dei privati cittadini si cura soltanto di sé stessa. Cittadino dissennato! Non riesci a vedere, nel danno collettivo, anche il tuo stesso danno?
Ahimè, ma dove corro, dove vado vagabondo, lontano dai bei colli e dal bel lago e dalle contadinelle, alle quali l'aria così vivace e pura fa ondeggiare il petto?
La mia appassionata ispirazione, che è felice solo quando può unire l'utilità al merito di un canto piacevole, procede per una via trascurata, cercando sempre l'utile sociale.
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