vv. 468 - 505
Dopo aver detto questo [Efesto] la lasciò e tornò vicino mantici, girandoli verso il fuoco affinché potessero fare il loro lavoro e tutti e 20 i mantici si misero a soffiare sulla fornace, emettendo sbuffi d'aria potenti e mutevoli, a volte più veloci e a volte più lenti, a seconda di come Efesto voleva che venisse il lavoro. Efesto gettò nel fuoco l'indistruttibile bronzo, lo stagno, il prezioso oro e l'argento e poi, dopo aver messo l'incudine sul piedistallo, afferrò con una mano un enorme martello e con l'altra le tenaglie. Per prima cosa forgiò uno scudo grande e pesante, decorandolo dappertutto. Realizzò un triplo bordo, lucido e brillante, e una tracolla d'argento. Lo scudo era diviso in cinque parti che decorò a suo piacimento in modi diversi. Vi fece la terra, il cielo, il mare, il sole tenace [perché sorge e tramonta ogni giorno] e la luna piena, e tutte le stelle che adornano il cielo, le Pleiadi, le Iadi, Orione e l'Orsa, conosciuta come Carro, che gira su se stessa e guarda sempre verso la costellazione di Orione che è l'unica che non si getta mai nelle acque [cioè che non tramonta mai].
Poi vi fece due belle città abitate da uomini mortali. In una si celebravano nozze e banchetti, le spose si allontanavano dalle loro stanze e, guidate da torce fiammanti, andavano per le strade, mentre veniva intonato il canto "Imeneo" e giovani danzatori ballavano al suono di flauti e cetre; le donne assistevano alla festa, ognuna in piedi davanti alla propria porta.
Una folla si era radunata in piazza e qui nasceva una lite fra due uomini per un risarcimento: uno diceva di aver pagato il dovuto, l'altro diceva di non avere ricevuto nulla. Entrambi si rivolgevano al giudice per avere una giusta sentenza e il popolo gridava, difendendo ora l'uno ora l'altro. Gli araldi trattenevano la folla, mentre gli anziani sedevano in sacro cerchio su sedili di pietra e, con in mano i bastoni degli araldi, si alzavano di volta in volta per dare il proprio parere; in mezzo a loro erano posate due monete d'oro da offrire come ricompensa a chi avesse dato la sentenza più giusta [o da offrire come ricompensa a quello tra i contendenti che avesse avuto ragione].
vv. 541 - 590
Efesto vi realizzò anche un terreno appena lavorato e un grande campo fertile, arato tre volte, dove i contadini spingevano i buoi aggiogati, da una parte all'altra del campo; un uomo allora si avvicinava e porgeva loro una coppa di vino dolcissimo e insieme giravano per ogni solco, desiderosi di arrivare nuovamente al margine del campo arato. Dietro ai contadini il terreno era scuro, sembrava davvero un campo arato, sebbene fosse d'oro ed era di grande bellezza.
Vi fece poi un terreno appartenente al re, dove i contadini mietevano con falci taglienti; i mazzetti di spighe [mannelli] cadevano numerosi sul terreno, alcuni [cadevano] nei solchi, altri venivano legati con corde di paglia dai legatori; c'erano tre legatori in piedi, ma dietro di loro alcuni fanciulli, raccogliendo le spighe cadute [spigolando] e le passavano di continuo ai legatori. Il re stava sul bordo del campo, tenendo in mano lo scettro e godendo del lavoro che si svolgeva davanti ai suoi occhi.
Gli araldi, da una parte, preparavano il pranzo sotto una quercia; dopo avere ucciso un grosso bue lo mettevano sul fuoco. Le donne versavano molta farina per il pasto dei mietitori. Disegnò [il soggetto è sempre Efesto!] anche una bella vigna, carica di grappoli d'oro pendenti, appoggiata su pali d'argento. Intorno fece un fossato di smalto e una siepe di stagno. Un solo sentiero portava alla vigna e da qui passavano i coglitori per vendemmiare; ragazzi e ragazze, dal cuore sereno, portavano l'uva in cestini intrecciati e in mezzo a loro un ragazzo cantava con voce melodiosa, accompagnandosi con la cetra; i suoi compagni lo seguivano battendo il tempo con le mani, gridando e saltellando.
Poi con l'oro e lo stagno, realizzò una mandria di vacche dalla testa dritta che muggendo uscivano dalla stalla dirette al pascolo e camminavano lungo il fiume rumoroso e attraverso i canneti flessuosi.
Quattro pastori guidavano le vacche aiutati da nove cani veloci. In testa alla mandria due terribili leoni trattenevano con gli artigli un toro che, emettendo profondi muggiti, veniva azzannato; i giovani e i cani lo cercavano, ma i leoni, dopo aver lacerato la pelle del toro, ne mangiavano le interiora e ne bevevano il sangue nero; i pastori aizzavano i cani contro i leoni, ma questi non avevano il coraggio di attaccare le belve e si limitavano ad avvicinarsi e ad abbaiare con forza.
L'illustre zoppo [Efesto] vi disegnò un pascolo di pecore in un'ampia valle, con stalle, recinti e capanne col tetto.
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