Il "sano" è l'uomo perfettamente integrato nella società in cui vive, omologato ai principi e ai valori borghesi.
Il "malato" è l'inetto, l'incapace a vivere, l'eterno scontento e insoddisfatto.
Il sano è apparentemente forte, ma lo è solo in circostanze a lui favorevoli--> in realtà l'uomo troppo integrato e "inquadrato" nasconde delle fragilità che si possono manifestare improvvisamente e con effetti disastrosi.
Al contrario, il malato, l'inetto, proprio per la sua incapacità di vivere integrandosi nella società ha dovuto inventare sempre nuovi modi per cavarsela e sopravvivere ed è quindi diventato "più forte" del sano, più capace di affrontare l'imprevedibile, l'ignoto, il multiforme.
Alla fine quindi è il malato l'uomo più padrone di sé, dominatore del proprio destino---> il malato si è dunque trasformato nel "sano". Il malato è l'uomo vero, autentico e la nevrosi è la condizione umana più vera. Tutto il resto, dice Svevo, sono solo cliché, maschere.
Psicoanalisi e letteratura
Se Svevo non avesse conosciuto le teorie e il pensiero di Freud non avrebbe mai scritto "La coscienza di Zeno". E' anche vero che nei suoi romanzi precedenti ("Una vita" e "Senilità") è già presente un'analisi e un'attenzione per la psicologia dei personaggi. Il pensiero di Freud, quindi, serve più che altro a chiarire e precisare una tendenza già presente in Svevo. Il suo è un atteggiamento ambivalente: da un lato dichiara di avere preso alcune idee di Freud e di averle inserite ne "La coscienza di Zeno", dall'altro lato, però, proprio in questo stesso romanzo, ironizza sulla validità terapeutica della psicoanalisi.
La Triestinità
L'appartenenza ad una città cosmopolita come Trieste, la "porta d'Oriente", crocevia di commerci, razze e culture, dove convivono italiani, tedeschi, slavi, greci, ebrei.. tutto questo fa della personalità e della formazione sveviana un punto cruciale---> carattere mitteleuropeo e cosmopolita di Svevo.
Il letterato non professionista
In seguito al fallimento dell'industria del padre, Svevo è costretto ad impiegarsi in banca e vi rimane per 20 anni, collaborando nel frattempo a riviste letterarie.
Il fatto di non essere un "professionista" lo rende in qualche modo più aperto e disponibile a cogliere i segnali della crisi della cultura della società borghese.
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