Il "sano" è l'uomo perfettamente integrato nella società in cui vive, omologato ai principi e ai valori borghesi.
Il "malato" è l'inetto, l'incapace a vivere, l'eterno scontento e insoddisfatto.
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Al contrario, il malato, l'inetto, proprio per la sua incapacità di vivere integrandosi nella società ha dovuto inventare sempre nuovi modi per cavarsela e sopravvivere ed è quindi diventato "più forte" del sano, più capace di affrontare l'imprevedibile, l'ignoto, il multiforme.
Alla fine quindi è il malato l'uomo più padrone di sé, dominatore del proprio destino---> il malato si è dunque trasformato nel "sano". Il malato è l'uomo vero, autentico e la nevrosi è la condizione umana più vera. Tutto il resto, dice Svevo, sono solo cliché, maschere.
Psicoanalisi e letteratura
Se Svevo non avesse conosciuto le teorie e il pensiero di Freud non avrebbe mai scritto "La coscienza di Zeno". E' anche vero che nei suoi romanzi precedenti ("Una vita" e "Senilità") è già presente un'analisi e un'attenzione per la psicologia dei personaggi. Il pensiero di Freud, quindi, serve più che altro a chiarire e precisare una tendenza già presente in Svevo. Il suo è un atteggiamento ambivalente: da un lato dichiara di avere preso alcune idee di Freud e di averle inserite ne "La coscienza di Zeno", dall'altro lato, però, proprio in questo stesso romanzo, ironizza sulla validità terapeutica della psicoanalisi.
La Triestinità
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Il letterato non professionista
In seguito al fallimento dell'industria del padre, Svevo è costretto ad impiegarsi in banca e vi rimane per 20 anni, collaborando nel frattempo a riviste letterarie.
Il fatto di non essere un "professionista" lo rende in qualche modo più aperto e disponibile a cogliere i segnali della crisi della cultura della società borghese.
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