Quando era un giovane studente, Giovanni Pascoli passò un periodo come convittore (significa che vi mangiava e vi dormiva) all'interno del collegio degli Scolopi a Urbino (dal 1862 al 1871).
Il collegio degli Scolopi ad Urbino |
A quell'età felice e spensierata è dedicata la lirica "L'Aquilone" inserita nella raccolta "Primi Poemetti" e datata 1897.
In essa il poeta ricorda i giorni di vacanza trascorsi insieme ai compagni, passeggiando e lanciando aquiloni nel cielo. Quel tempo passato, vista l'amara esperienza della sua vita, gli sembra ancora più bello e spensierato di quanto probabilmente fu. Egli dice di ricordare tutti i suoi compagni e, in special modo, un suo caro amichetto morto prematuramente. Quella morte, che allora lo fece piangere di dolore, adesso gli sembra quasi una fortuna: il suo giovane amico, infatti, ebbe vicino la sua mamma in quel momento e, in più, non fu costretto alle disillusioni che la vita inevitabilmente porta.
Egli non subì sconfitte e delusioni e non vide cadere davanti ai suoi occhi sogni e speranze, ma solo le bianche ali di un aquilone.
C'è qualcosa di nuovo oggi nel
sole,
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
anzi d'antico: io vivo altrove, e sento
che sono intorno nate le viole.
Son nate nella selva del
convento
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.
dei cappuccini, tra le morte foglie
che al ceppo delle quercie agita il vento.
Si respira una dolce aria che
scioglie
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:
le dure zolle, e visita le chiese
di campagna, ch'erbose hanno le soglie:
un'aria d'altro luogo e d'altro
mese
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...
e d'altra vita: un'aria celestina
che regga molte bianche ali sospese...
sì, gli aquiloni! È questa una
mattina
che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.
che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera
tra le siepi di rovo e d'albaspina.
Le siepi erano brulle, irte; ma
c'era
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
d'autunno ancora qualche mazzo rosso
di bacche, e qualche fior di primavera
bianco; e sui rami nudi il
pettirosso
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
saltava, e la lucertola il capino
mostrava tra le foglie aspre del fosso.
Or siamo fermi: abbiamo in faccia
Urbino
ventoso: ognuno manda da una balza
ventoso: ognuno manda da una balza
la sua cometa per il
ciel turchino.
Ed ecco ondeggia, pencola, urta,
sbalza,
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.
risale, prende il vento; ecco pian piano
tra un lungo dei fanciulli urlo s'inalza.
S'inalza; e ruba il filo dalla
mano,
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
come un fiore che fugga su lo stelo
esile, e vada a rifiorir lontano.
S'inalza; e i piedi trepidi e
l'anelo
petto del bimbo e l'avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
petto del bimbo e l'avida pupilla
e il viso e il cuore, porta tutto in cielo.
Più su, più su: già come un punto
brilla
lassù lassù... Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?
lassù lassù... Ma ecco una ventata
di sbieco, ecco uno strillo alto... - Chi strilla?
Sono le voci della camerata
mia: le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...
mia: le conosco tutte all'improvviso,
una dolce, una acuta, una velata...
A uno a uno tutti vi ravviso,
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
su l'omero il pallor muto del viso.
o miei compagni! e te, sì, che abbandoni
su l'omero il pallor muto del viso.
Sì: dissi sopra te l'orazïoni,
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!
e piansi: eppur, felice te che al vento
non vedesti cader che gli aquiloni!
Tu eri tutto bianco, io mi
rammento.
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.
solo avevi del rosso nei ginocchi,
per quel nostro pregar sul pavimento.
Oh! te felice che chiudesti gli
occhi
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!
persuaso, stringendoti sul cuore
il più caro dei tuoi cari balocchi!
Oh! dolcemente, so ben io, si
muore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore
la sua stringendo fanciullezza al petto,
come i candidi suoi pètali un fiore
ancora in boccia! O morto
giovinetto,
anch'io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...
anch'io presto verrò sotto le zolle
là dove dormi placido e soletto...
Meglio venirci ansante, roseo,
molle
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
di sudor, come dopo una gioconda
corsa di gara per salire un colle!
Meglio venirci con la testa
bionda,
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co' bei capelli a onda
che poi che fredda giacque sul guanciale,
ti pettinò co' bei capelli a onda
tua madre... adagio, per non farti
male.
Analisi e commento
Nella prima terzina il poeta ci informa che sta vivendo altrove (in quel periodo si trovava a Messina) e che è inverno, ma a lui sembra di sentire un'altra aria, un'aria di primavera. Il ricordo è in grado di trasportarlo lontano, nel tempo e nello spazio: è come un sogno che, pian piano, dal profumo di viole passa alle chiese di campagna e poi si rivolge al cielo, dove volteggiano "bianche ali sospese" : gli aquiloni!
Il passaggio a quell'età lontana si è compiuto del tutto: adesso il poeta è tornato ragazzo, sta uscendo dal collegio insieme ai suoi compagni in un giorno di festa. Dopo qualche nota paesaggistica (siepi, bacche, Urbino ventosa) il cielo diventa protagonista e, insieme ad esso, gli aquiloni che sembrano fiori fuggiti da terra e rispuntati nell'aria. Gli aquiloni volano, seguiti dagli occhi e dagli strilli gioiosi dei ragazzi. Ad un tratto però un colpo di vento più forte ne fa cadere uno a terra e l'urlo di delusione che lo accompagna segna il passaggio ad un altra parte della lirica: la parte più commovente, quella dedicata all'amico scomparso. Pascoli ricorda le preghiere dette insieme a lui (il collegio era gestito da religiosi) e le preghiere che lui solo recitò in memoria dell'amico.
Ricorda il dolore e le lacrime che pianse e l'infinita tenerezza della madre che lo pettinò amorevolmente dopo che era già spirato, con leggerezza, "adagio per non farti male".
Poi Pascoli esprime il suo pessimismo sulla vita e sulle esperienze che questa porta con se' "felice te che al vento non vedesti cader che gli aquiloni" : l'amichetto, quindi, è stato fortunato perché non ha conosciuto la vera realtà della vita che è ben più dolorosa di un aquilone scivolato a terra.
"C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole..."
ReplyDeletei miei ricordi recitano:
"C'è qualcosa di nuovo oggi nell'aria..."
a conferma vedi la vostra analisi che parla proprio
di: "un'altra aria, un'aria di primavera"
Salve e grazie del suo commento :-)
DeleteIn realtà la poesia del Pascoli recita proprio "C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole".. le lasciamo un link da wikisource su cui potrà leggere il testo integrale della lirica.. se poi non fosse sufficiente le basterà una veloce ricerca su Google per trovare conferma alle nostre parole.
Forse il suo dubbio nasce dalla terza terzina che inizia appunto con "Si respira una dolce aria che scioglie le dure zolle"...
Ad ogni modo, grazie per la sua attenzione e per la sensibilità che affiora dalle sue parole.
Un caro saluto :-)
Anche io ricordo di aver studiato questa poesia ed al posto della parola "sole" c'era "aria". "C'è qualcosa di nuovo oggi nell'aria, anzi di antico..."
DeleteQuanto ho amato questa poesia! Assieme a "X agosto" era la mia preferita del Pascoli... Ai miei tempi si studiavano ancora a memoria e, quasi cinquant'anni dopo, ne rammento ogni verso...e l'ultimo, quel verso isolato che è la chiosa di una vita, davvero un artificio metrico geniale, rimane inciso per sempre "...Adagio, per non farti male." Meraviglioso.
ReplyDeleteGrazie!
DeleteChe bel commento!
Condivido ogni parola, Pascoli è anche uno dei miei autori prediletti..
Il mio tema di maturità riguardò proprio Pascoli e, fra gli altri, ricordo di aver citato alcuni versi di questa poesia che, naturalmente, sapevamo tutti a memoria..
Presi 9 (in un liceo classico "serio" come solo le scuole di un tempo sapevano essere!) e la commissione (esterna) si complimentò a lungo con me in sede di orale.
Grazie per essere passata e per aver risvegliato anche i miei dolcissimi ricordi...
Un abbraccio.
Perché Pascoli scrive "Urbino ventoso" prediligendo la forma maschile anziché la forma femminile "ventosa"?
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