dal v. 268 al v. 205
Era il momento in cui gli uomini stanchi si lasciano prendere dal sonno che, essendo dono degli dei, è per loro piacevolissimo.
Enea racconta che nel sogno gli appare Ettore, addolorato, mentre piange copiosamente, come nel giorno della sua morte, quando le bighe lo avevano trascinato, sporco di fango e di polvere, coi piedi gonfi e trafitti dalle cinghie.
Enea vede Ettore molto diverso rispetto a quando era tornato vestito delle armi di Achille o quando aveva lanciato le torce troiane contro le navi dei Greci: la sua barba è incolta, i capelli sono impastati di sangue e si vedono le tante ferite che gli furono inferte sotto le mura di Troia.
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Gli chiede poi da quali terre stia tornando, lui così amato. Continua dicendo che solo adesso hanno potuto rivederlo, dopo che tanti uomini sono morti in battaglia e dopo la terribile sciagura che ha colpito la città di Troia e i suoi abitanti. Gli chiede anche perché il suo volto sia deturpato in quel modo e perché abbia tutte quelle ferite.
Ettore non risponde alle domande di Enea, ma emette un terribile singhiozzo col petto e poi gli dice di scappare da Troia, di fuggire da quella città in fiamme ormai in mano al nemico. Prosegue dicendo che il destino ha concesso molto a Priamo e che lui, se fosse servito, avrebbe difeso la rocca di Pergamo anche con un solo braccio.
Dice poi che ad Enea sono adesso affidati i simboli religiosi e gli Dei Penati e che è suo compito portarli con sé, cercando per loro una nuova città che lui stesso dovrà fondare dopo aver attraversato il mare.
non è completo
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