Parafrasi del dialogo fra Didone ed Enea - Libro IV
Dal v. 296 al v. 396
La regina ebbe dei presentimenti- perché un'amante non può essere ingannata- e capì subito i progetti futuri e ciò che sarebbe successo, sentendosi troppo tranquilla.
Fu la Fama, portatrice di dolori, ad avvisarla che stavano preparando le navi ed erano pronti a partire.
Didone si aggira inquieta e furente per la città come una Tiade (una Baccante) eccitata quando è il tempo dei riti e il dio Bacco la richiama con fragore sul monte Citerone per le orge triennali.
Parla Didone
Didone si rivolge infine ad Enea dicendogli che forse lui sperava, traditore com'è, di poter nascondere una tale cattiveria e di riuscire ad andarsene da Cartagine senza dare spiegazioni. Poi gli chiede se non servano a trattenerlo il loro amore, il patto nuziale che avevano stabilito stringendosi la mano e il fatto che lei morirà sicuramente di dolore per questo abbandono.
Gli chiede se sia così crudele da prepararsi a partire di notte, d'inverno, quando i venti del nord ostacolano la navigazione. Poi gli domanda se, invece di essere alla ricerca di terre sconosciute e di luoghi lontani, partirebbe davvero per Troia -se fosse ancora in piedi- con il mare in tempesta.
Infine gli chiede se sta scappando da lei.
Poi lo prega, per il proprio dolore e per la mano destra di Enea- visto che nient'altro ha lasciato per sé disgraziata - per la loro unione, per il rito nuziale già iniziato, se un po' del bene di Enea ha meritato, o ha saputo regalargli un po' di dolcezza, di avere pietà di lei e del suo regno e di abbandonare, se le sue preghiere hanno valore, l'idea di partire.
Continua dicendo che a causa di Enea le popolazioni libiche e di Numidia ora la odiano e anche i Titi sono diventati suoi nemici; a causa sua lei ha perso per sempre la sua virtù e l'onore che la caratterizzavano. Gli chiede cosa le accadrà se lui, accolto come un ospite quando era in difficoltà, la abbandona. (Poi sottolinea che ormai Enea si comporta con lei solo come un ospite).
Si chiede cosa potrà aspettarsi ora, perché probabilmente Pigmalione distruggerà le mura della città o forse Iarba, re dei Getuli, la farà prigioniera per costringerla alle nozze.
Prosegue dicendo che sarebbe bello poter stringere fra le braccia il figlio di Enea, poterlo guardare mentre gioca nella corte e rivedere in lui il padre, in modo da non sentirsi abbandonata del tutto.
Questo dice Didone.
Parla Enea
Enea aveva lo sguardo fermo, col pensiero rivolto al proprio dovere, e cercava di contenere il dispiacere che sentiva nel cuore. Poi risponde brevemente a Didone dicendole che lui non potrebbe mai negare tutte le cose buone che lei ha fatto per lui e che mai proverà dispiacere nel ricordare il nome di Elissa, almeno fino a quando ricorderà il proprio nome e lo spirito sarà vivo nel suo corpo. Prosegue dicendo che le spiegherà brevemente cosa è accaduto. Lui non aveva mai pensato di nasconderle la sua partenza e neanche aveva mai pensato di sposarla o di essere arrivato ad un punto così importante della loro relazione. Prosegue dicendo che se i fati gli permettessero di avere la vita che desidera, egli tornerebbe a Troia, dove riposano i suoi cari, per ricostruire la rocca di Pergamo, caduta una volta a causa di Ercole e una volta a causa dei Greci. Spiega che adesso Apollo Grineo e gli oracoli della Licia gli hanno ordinato di andare in Italia e che questo deve essere il suo volere e che quella sarà la sua patria. Poi domanda a Didone perché non lascia che i Troiani trovino una nuova patria in Italia, visto che lei è al sicuro fra le mura di Cartagine, il regno che ama così tanto. Dice che anche i Troiani possono cercare regni sconosciuti. Dice che l'immagine del padre Anchise, ogni volta che scende la notte e le stelle brillano nel cielo, lo rimprovera e lo spaventa adirato per il suo comportamento; trattenendosi a Cartagine sta facendo un torto al figlioletto Ascanio, suo successore del regno d'Italia e delle terre che dal fato sono state a loro destinate.
Continua dicendo che anche Mercurio, inviato da Giove - e lo giura sulla propria testa e su quella di Didone - gli ha ordinato di partire; Enea stesso ha visto il dio coi propri occhi entrare attraverso i muri e ha sentito la sua voce con le proprie orecchie. Conclude suggerendo a Didone di smettere di piangere, perché non è solo per sua volontà che deve recarsi in Italia.
Parla Didone
Didone lo ha ascoltato con uno sguardo adirato, voltando gli occhi di qua e di là, squadrando Enea e infine lo aggredisce chiedendogli se sia davvero figlio di una dea e il capostipite della stirpe dei
Dardani o se se sia piuttosto figlio delle selvagge montagne del Caucaso e sia stato nutrito dalle tigri dell'Ircania. Gli chiede anche perché abbia finto e le abbia riservato un così grande affronto. Si domanda se Enea abbia mostrato dispiacere vedendola piangere o se abbia abbassato gli occhi. E se commosso, abbia anche lui versato qualche lacrima o abbia compatito la sua amata. Dice che non c'è offesa più grave di questa indifferenza. Continua dicendo che lo sguardo di Giunone e di Giove, sovrano dell'Olimpo, non sembrano più esprimere giustizia: ovunque regna una fragile lealtà.
Lei ha accolto Enea quando aveva fatto naufragio e aveva bisogno di tutto e aveva diviso con lui il proprio regno; aveva tratto in salvo le sue navi e salvato i suoi compagni dalla morte. Didone si sente travolgere dalla rabbia. Si lamenta perché Apollo, gli oracoli della Licia e Mercurio, inviato da Giove, gli hanno ordinato di partire. Questa cosa agita gli dei e turba la loro tranquillità. Poi dice di non voler trattenere Enea, non vuole ribattere alle sue parole. Lo invita ad andarsene, a cercare l'Italia spinto dal vento, attraverso il mare. Poi si augura, se gli dei avranno pietà di lei, che Enea possa naufragare sugli scogli e che allora possa a lungo invocare invano il nome di Didone. Gli dice che lo seguirà da lontano con fuochi maligni e che quando la morte sarà sopraggiunta il suo fantasma lo perseguiterà ovunque.
Continua dicendo che arriverà per lui il castigo e che lo sconterà nel regno dei morti.
Conclusione
Didone smette di parlare e fugge via, di schiena, sottraendo il suo sguardo a quello di Enea e lasciandolo lì, timoroso di parlare, ma con la voglia di farlo. Le ancelle accolgono Didone che sviene e la portano sul letto di marmo adagiandola sui cuscini. Enea vorrebbe calmare la sofferenza di Didone e confortarla, allontanando il dolore con le sue parole, ma, con molti lamenti e incerto nel camminare per il grande amore che prova, esegue l'ordine divino e ritorna alla flotta.
Mi avete salvato la vita
RispondiEliminaanche a meeeeeeeeeeee
Eliminagrazie
ok
RispondiEliminaook
Non é una parafrasi
RispondiElimina