sabato 11 gennaio 2014

PARAFRASI ACHILLE E PRIAMO

Priamo entra senza essere visto e si avvicina ad Achille, gli prende le ginocchia fra le mani e poi gli bacia le mani: quelle terribili mani che gli avevano ucciso tanti figli. Così come quando una grave colpa ha travolto un uomo, che, ucciso in patria qualcuno, fugge in altro paese, in casa d’un ricco signore e al suo apparire suscita stupore nei presenti, così meravigliato Achille guardava Priamo simile a un dio. Anche gli altri erano stupiti e si guardavano in faccia.

Priamo si rivolge ad Achille pregandolo di pensare a suo padre, che ha gli stessi suoi anni ed è anche lui sulla soglia della vecchiaia, e che forse anche lui ha delle persone attorno che lo tormentano e non ha nessuno vicino che possa allontanare da lui il danno e il male. Però lui, almeno, ha la gioia di sapere che suo figlio Achille è vivo e può sperare di vederlo ritornare da Troia. Priamo dice invece che lui è infelice perché ha generato figli valorosi, ma nessuno di loro è rimasto in vita. Ne aveva 50 quando gli Achei arrivarono ad assediare la città, 19 erano figli della stessa moglie, gli altri erano figli delle altre sue donne della reggia. Ma molti di loro sono morti e quello che poteva difendere la città anche da solo era stato ucciso da Achille. Priamo dice di essere andato lì, fra le navi degli Achei, per suo figlio Ettore, per riscattare il suo corpo con molti oggetti preziosi che ha portato con se'. Chiede ad Achille di rispettare gli dei e di avere compassione di lui, pensando a suo padre e al fatto che Priamo è molto più infelice di lui. Oltretutto Priamo ha fatto qualcosa che nessun altro uomo ha mai fatto, cioè baciare la mano di colui che gli uccise il figlio.
Parlando così, fece salire il pianto agli occhi di Achille che pensava a suo padre e che prese la mano del vecchio scostandolo dolcemente. Entrambi erano presi dai loro ricordi: Priamo pensava ad Ettore sterminatore di guerrieri e piangeva a dirotto rannicchiato ai piedi di Achille che a sua volta piangeva un po' per suo padre e un po' per Patroclo. Il loro lamento si levava alto nella stanza.
Ma quando il divino Achille si fu consolato grazie a quel pianto, gliene passò la voglia e si alzò in piedi sollevando il vecchio e provando compassione per quel capo canuto e quel mento bianco.
Allora si rivolse al vecchio dicendogli che era vero, che aveva dovuto soffrire molto e che serviva proprio un cuore di ferro per osare andare al cospetto dell'uomo che gli aveva ucciso tanti figli. Poi lo invita ad accomodarsi e a smettere di piangere, poiché il pianto non offre conforto, ma fa solo venire freddo. 
Achille dice che sono gli dei ad aver stabilito che gli uomini vivano in mezzo alla tristezza, mentre loro sono senza preoccupazioni. Dice che nella sala di Zeus ci sono i due vasi dei doni che egli dà ai mortali: uno è pieno di mali, l’altro di beni. E la persona a cui Zeus fulminatore li offre mescolati, ora incontra sventura, ora felicità. Ma se a uno porge solo guai, lo rende un miserabile: e una fame malvagia lo fa andare nel mondo,  disprezzato dagli uomini e dagli dei. Continua dicendo che anche a Peleo gli dèi offrirono splendidi doni, fin dalla nascita: ed egli si distingueva tra tutti gli uomini per agi e ricchezze, era re dei Mirmidoni. E poi gli avevano dato in moglie una dea, anche se lui era mortale. Però anche a lui fu data una sventura: non gli nacque, là nel palazzo, una discendenza di sovrani, ma generò un figlio solo, destinato a precocissima morte. E ora che è vecchio, lui non se ne prende cura, ma è costretto a stare lontano dalla patria, a rattristare Priamo e i suoi figli. Achille continua dicendo che anche Priamo un giorno è stato felice e famoso in tutte le terre che sono comprese tra Lesbo, la Frigia e l' Ellesponto; famoso per le sue ricchezze e i numerosi figli. 
Ma dopo che gli dèi lo hanno colpito con il problema della guerra di Troia, continuamente intorno alla sua città ci sono state battaglie e carneficine. Achille invita il vecchio a rassegnarsi e a non angosciarsi all'infinito, poiché non ci guadagnerà nulla ad affliggersi per il figlio morto: Ettore non potrà resuscitare comunque e magari potrebbe succedere qualcosa di ben più grave.

Allora Priamo, rifiutandosi di sedere sul seggio offertogli da Achille, chiede al giovane di lasciargli prendere il corpo e di accettare i molti doni del riscatto;  gli augura di poterseli godere e di tornare presto in patria. Ma Achille lo guarda scuro in volto e dice di non irritarlo, che era già sua intenzione rendere Ettore a suo padre. Dice che è stata addirittura sua madre (Teti), venuta da parte di Zeus, a chiedergli questa cosa. E aggiunge che solo un dio avrebbe potuto aiutare un vecchio a recarsi fin lì alle navi degli Achei, perché anche ad un giovane sarebbe mancato il coraggio e la forza di penetrare nel campo: nessuno avrebbe potuto farlo senza essere visto dalle guardie. Conclude dicendo di non farlo arrabbiare, che lui ha già i suoi guai e che in fondo potrebbe anche uccidere Priamo, trasgredendo agli ordini di Zeus. A queste parole il vecchio Priamo tremava di paura e obbediva al comando.

Achille intanto, esce dalla stanza con un balzo felino. Non è solo: con lui si muovono anche due scudieri: l’eroe Automedonte e Alcimo, che Achille onorava più di tutti gli altri compagni, dopo la morte di Patroclo. Essi allora staccavano di sotto il giogo i cavalli e i muli: conducevano dentro l’araldo banditore del vecchio, e lo fanno sedere su di uno scranno. Poi tiravano giù dal lucido carro i molti doni, destinati al riscatto della salma di Ettore. Vi lasciarono sopra due manti leggeri di lino e una tunica di fine tessuto: Achille voleva coprire il cadavere, e consegnarlo così da poter essere portato a casa. Poi chiamava fuori le ancelle e ordinava loro di lavar il corpo e di ungerlo tutto, ma di farlo in un posto appartato poiché non voleva che Priamo vedesse suo figlio così. Achille teme che il vecchio, tanto addolorato, non avrebbe saputo dominare la sua rabbia alla vista del figlio morto e magari Achille avrebbe potuto infuriarsi e ucciderlo, violando gli ordini di Zeus. Dopo che le ancelle lo ebbero lavato e unto di olio, gli misero addosso il bel manto e la tunica e Achille lo sollevava con le proprie mani e lo deponeva sul letto di morte. E insieme con lui, i compagni lo portarono così sopra il lucido carro.

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