giovedì 29 marzo 2018

TESINA SU BREAKING BAD

Geografia= Gli Stati Uniti (focus sullo stato del New Mexico e città di Albuquerque)
Storia=La ricerca atomica durante la II guerra mondiale (si collega ad Albuquerque)
Italiano=Italo Svevo e l'inetto (collegabile alla figura di Walter White)
Inglese=Meth (breve saggio in lingua sulla metamfetamina)
Francese=Meurtre inspiré de Breaking Bad 
Scienze=Le droghe sintetiche
Tecnologia=Il cinema
Arte=Arte ispirata a Breaking Bad
Musica=Soundtrack di Breaking Bad
Ed. Fisica=Sport e droga breve saggio


ALTERNATIVE

Italiano=L'anti-eroe in narratologia
Inglese=Five acts structure (Shakespeare)
Francese=I fratelli Lumiere e l'invenzione del cinema
Ed. Fisica=Le misure antidoping nello sport


A questa pagina un ottimo articolo sul rapporto fra il romanzo e le serie televisive (di Tommaso Matano)



lunedì 26 marzo 2018

RIASSUNTO AGILULFO BOCCACCIO




Terza giornata
Seconda Novella
Narratrice: Pampinea

La novella è ambientata a Pavia, dove il re dei Longobardi, Agilulfo, sposa Teudelinga, vedova del re Autari. La regina è molto bella e di lei si innamora un palafreniere (un addetto ai cavalli) che, a causa della sua condizione inferiore, sa di non avere alcuna speranza di coronare il suo sogno d'amore.
L'uomo non confessa a nessuno la sua passione, ma desidera così tanto Teudelinga che si ingegna per trovare il modo di giacere con lei.
Una notte si nasconde in una sala del castello e vede il re recarsi nella stanza della regina con in mano una fiaccola accesa e una bacchetta per bussare alla porta.
Sempre rimanendo nascosto, poco dopo lo vede uscire e tornare nei propri alloggi.
Decide allora di fingere di essere il re e, dopo essersi lavato per togliersi di dosso l'odore dei cavalli, indossa un mantello simile a quello del re, si procura una torcia e una bacchetta e bussa alla porta della regina. Gli viene aperto da una cameriera assonnata che gli toglie subito il lume dalle mani; l'uomo, protetto dall'oscurità, si infila nel letto di Teudelinga e giace con lei più volte; poi esce e torna di fretta nella sua stanza.
Poco dopo anche il re va in camera della regina, ma la donna, stupita, gli chiede come mai sia di nuovo lì visto che è appena andato via. Il re capisce che qualcun altro è stato in quel letto prima di lui e, deciso a scoprire il colpevole, non dice nulla alla moglie e se ne va.
Agilulfo immagina che chi ha appena giaciuto con la regina sia ancora agitato e abbia il cuore che batte forte, così entra in tutte le camere del palazzo per tastare il polso dei servitori.
Arrivato nella stanza del palafreniere si accorge che l'uomo sta fingendo di dormire e che in realtà è molto agitato. Capendo che è lui il colpevole gli taglia una ciocca di capelli per poterlo riconoscere il giorno dopo fra tutti i servitori.
Il palafreniere intuisce la ragione per cui il re gli ha tagliato i capelli e si reca nelle stanze degli altri servitori per tagliare a tutti una ciocca così come era stato fatto con lui.
Il giorno dopo il re non riesce a riconoscere il colpevole perché a tutti manca una ciocca di capelli. Stupito dalla furbizia dell'uomo, il re decide di non rivelare nulla affinché non venga reso pubblico il disonore della regina, ma ammonisce i servitori e li invita a non commettere più ciò che era stato fatto quella notte.
Nessuno riesce a capire il senso di quell'affermazione, tranne il palafreniere che, da quel giorno, non prova più a giacere con la regina.

sabato 17 marzo 2018

PARAFRASI OROLOGIO DA ROTE DI CIRO DI PERS

Parafrasi e analisi della poesia di Ciro di Pers "Orologio da rote"

Mobile ordigno di dentate rote
lacera il giorno e lo divide in ore,
ed ha scritto di fuor con fosche note
a chi legger le sa: sempre si more.

Mentre il metallo concavo percuote,
voce funesta mi risuona al core;
né del fato spiegar meglio si puote
che con voce di bronzo il rio tenore.

Perch’io non speri mai riposo o pace,
questo, che sembra in un timpano e tromba,
mi sfida ognor contro all’etá vorace.

E con que’ colpi onde ’l metal rimbomba,
affretta il corso al secolo fugace,
e perché s’apra, ognor picchia alla tomba.


Parafrasi

Congegno mobile composto da ruote dentate
scandisce il giorno e lo divide in ore 
e porta scritto sul quadrante in caratteri tristi 
per chi li sa interpretare: si muore ogni momento.
Mentre percuote la campana con il suo martello,
una voce triste mi riecheggia nel cuore, 
e non si può spiegare meglio la natura malvagia del fato
che con questa voce cupa del bronzo. 
Affinché io non possa aspirare mai ad un vero riposo o a una vera pace, 
questo oggetto, che assomiglia a un timpano e a una tromba,
mi costringe continuamente a battermi contro il tempo che divora ogni cosa.
E con quei colpi che fanno risuonare il metallo, 
accelera la corsa del tempo già di per sé veloce 
e picchia continuamente sulla pietra tombale affinché si apra. 


Analisi metrica
E' un sonetto (2 quartine e 2 terzine) che rimano ABAB CBCB DED EDE


Figure retoriche
Enjambement: vv. 1-2 "dentate rote/lacera"
Metafore: v. 1 "Mobile ordigno" (l'orologio) - 
v. 2 "lacera il giorno"--> la metafora evidenzia l'effetto distruttivo del congegno: si lacera qualcosa di fragile come la carta, il tessuto.
v. 11 "età vorace" --> il tempo
Rime: le rime dei primi 8 versi in "-ore" e "-ote" contribuiscono a creare un effetto fonico di ritmo cadenzato, una regolarità che simula e riproduce il battere dell' orologio e, per estensione, l'avanzare inesorabile del tempo che fugge.


Analisi

Tutto il componimento prende avvio dall'immagine iniziale dell'orologio e delle sue ruote dentellate che sembrano quasi le fauci di un mostro, che stracciano il giorno, scandendo il tempo dell'uomo, frammentandolo in piccoli brandelli.
L'immagine è tipicamente barocca, per quel gusto dell'esagerato, del voler creare stupore e meraviglia nel lettore. L'orologio è qui visto non come una meraviglia della tecnica e nemmeno come oggetto di uso quotidiano, bensì come un congegno malvagio, che misura il (poco) tempo che all'uomo è concesso di vivere.
E' uno strumento che, già solo per come è fatto, con le sue ruote e i suoi numeri scritti sul quadrante(le "fosche note" del v. 3) e il suono cupo e grave, ricorda continuamente all'uomo la fugacità della sua vita e lo accompagna, inesorabilmente, verso la tomba che da sempre lo aspetta.
Tutta la lirica è costruita fonicamente in analogia col suono ritmico e cadenzato dell'orologio volendo sottolinea il procedere dell'uomo verso il suo ultimo destino, la morte. 


mercoledì 14 marzo 2018

PARAFRASI PROFEZIA DI ANCHISE ENEIDE

Parafrasi dal verso 756 al verso 887 dal Libro VI dell'Eneide che narra della profezia del padre di Enea, Anchise, riguardo la fondazione di Roma.



Parla Anchise 
Dice che svelerà la felicità che toccherà ai Troiani, i quali presto daranno origine a discendenti di origine italica, personaggi illustri che renderanno loro onore, e (svelerà) il destino di Enea.
Poi indica un giovane che sta appoggiato ad una lancia senza punta di ferro e che occupa un posto tra quelli che stanno per uscire dagli Inferi, lui infatti sarà il primo a tornare in vita; sarà per metà di stirpe italica, si chiamerà con un nome albano, Silvio, e nascerà dopo la morte di Enea; verrà allevato nei boschi da Lavinia, la sposa di Enea, sarà re e padre di re e la sua stirpe dominerà Alba Longa.
Dice che accanto a Silvio ci sono Proca, gloria dei troiani, Capi, Numitore e Silvio Enea che porterà lo stesso nome di Enea e dimostrerà le sue stesse doti di pietas e valore militare se riuscirà a regnare su Alba.
Poi indica dei giovani di valore che portano sul capo la corona di quercia che viene data come premio per il valore militare. Alcuni di questi giovani erigeranno le città di Nomento, Gabi e Fidene, altri fonderanno sui monti Collatini alcune città fortificate come Pomezia, Castro d'Inuo, Bola e Cora.
Questi saranno i nomi delle città che sorgeranno, anche se al momento sono solo terre senza nome.
Continua dicendo che a Numitore sarà vicino Romolo, figlio di Marte, nato dalla violenza su Rea Silvia, che avrà il sangue di Assaraco.
Anchise indica il doppio cimiero che svetta sull'elmo di Romolo che è lo stesso che aveva suo padre Marte e che lo contraddistingue per l'onore tributato dagli dei.

Si rivolge poi ad Enea dicendo che l'onorata città di Roma, sotto la guida di Romolo, dominerà su tutte le terre e sarà nobile come è nobile l'Olimpo; (Roma) da sola circonderà di mura i sette colli e darà origine a una stirpe di eroi: come la Grande Madre Cibele vive il trionfo tra le città della Frigia, orgogliosa dei suoi discendenti, così Roma, madre feconda di eroi, avrà gloria fra le città del mondo.
Chiede ad Enea di voltarsi a guardare i suoi discendenti Romani.
C'è Cesare Ottaviano e tutta la famiglia di Iulo che in futuro vivrà sotto l'ampia volta del cielo.
Poi indica l'uomo che spesso Enea sente nominare, l'Augusto Cesare, figlio del divino Giulio Cesare, che darà vita al nuovo secolo d'oro del Lazio, nelle terre che un tempo furono governate da Saturno; lui estenderà l'impero sui popoli del deserto e sugli Indi, oltre i limiti del mondo conosciuto, oltre la volta celeste, dove lo Zodiaco e il Sole compiono il giro di un anno e dove Atlante porta sulle spalle il cielo pieno di stelle.
Dice che fin da quel momento i regni che si trovano sul Mar Caspio e la terra presso la palude di Meotide temono il suo arrivo preannunciato dai responsi divini, e fremono di paura le acque alla foce del Nilo. Continua dicendo che nemmeno Ercole percorse tante terre quante saranno quelle dei Romani, nonostante (Ercole) abbia catturato la cerva dal piede di bronzo liberando i boschi del monte Erimanto e abbia ucciso con l'arco l'Idra di Lerna; e neanche Bacco che, con redini fatte di tralci di vite, si dirige verso l'India guidando un carro trainato da tigri
Anchise dice che, confidando in così tanta grandezza futura, non bisogna esitare a estendere il potere della nuova città e a raggiungere la terra promessa.
Poi chiede chi sia quell'uomo là in fondo, che porta una corona di rami d'ulivo e che indossa gli abiti sacri (è Numa Pompilio). Fa notare i capelli e la barba bianca del re romano che darà vita a nuove leggi, lui che è venuto dalla piccola cittadina di Curi ed è destinato ad un grande impero. Dopo di lui ci sarà Tullo (Ostilio) che interromperà il lungo periodo di pace a Roma e porterà nuovamente in guerra i soldati inattivi e disabituati alle vittorie. A lui seguirà Anco (Marzio), uomo troppo vanitoso che fece troppo affidamento sul favore del popolo. Poi chiede ad Enea se voglia vedere la stirpe dei Tarquini, l'uomo superbo (Tarquinio) e i mazzi di dodici verghe che furono recuperati da Bruto quando tolse il potere ai Tarquini. Bruto fu il primo console della Repubblica Romana che non esitò a giustiziare i propri figli quando scoprì che facevano parte della congiura (inusitate guerre) organizzata da Tarquinio il Superbo contro Bruto. Saranno i posteri a dare un giudizio su quanto accaduto: alla fine trionferanno l'amore per la patria e il desiderio di gloria.
Poi indica i Deci, i Drusi (sono famiglie romane) e Torquato (Tito Manlio) che fece giustiziare con la scure il proprio figlio, e Camillo (Marco Furio) che recupererà le insegne romane perse in battaglia.
Indica ancora delle anime che indossano armature scintillanti (sono Cesare e Pompeo) e che adesso, lì negli Inferi, sembrano andare d'accordo, ma che quando torneranno in vita saranno protagonisti di grandi battaglie e tremende lotte. Il suocero (Cesare) scendendo dalle Alpi Marittime verso la cittadina fortificata di Monaco, il genero (Pompeo) insieme al suo esercito di soldati raccolti in Oriente.
Anchise fa appello ai suoi discendenti perché non scatenino guerre civili e poi chiede a Cesare, che discende dalla stirpe degli dei, di posare le armi.
Continua dicendo che Lucio Mummio, dopo aver sconfitto gli Achei a Corinto, sfilerà sul carro dei vincitori in Campidoglio, mentre Paolo Emilio sconfiggerà Argo e Micene, combattendo contro Perseo (Eacide), discendente dal valoroso Achille, vendicando in questo modo la distruzione di Troia e la violazione del tempio di Atena (Minerva).
Chiede chi tacerebbe riguardo il nobile Catone (il Censore) o riguardo Cosso. Chi (tacerebbe) dei Gracchi, o dei due fulmini in guerra, gli Scipioni distruttori di Cartagine (la Libia), chi (tacerebbe) di Fabrizio (Gaio Fabrizio), famoso per la sua onestà, o di Serrano (soprannome di Attilio Regolo) che era intento alla semina quando fu eletto console.
Anchise si domanda dove lo porterà la famiglia dei Fabi con le sue imprese.
Lo chiede anche a Fabio Massimo che, prendendo tempo, riuscì a salvare Roma dall'attacco del nemico.
Dice poi che alcuni popoli sapranno creare oggetti di bronzo che paiono respirare, e saranno capaci di eseguire sculture con capacità espressiva, altri popoli avranno eccellenti oratori nei processi e sapranno comprendere i fenomeni astronomici, ma, dice rivolgendosi ad Enea, i Romani devono ricordarsi che essi domineranno i popoli del mondo; questa sarà la vera capacità dei Romani: di pacificare le genti, evitando di uccidere coloro che si arrenderanno, ma annientando quelli che si ribelleranno al loro volere.
Anchise continua rivolgendosi ad Enea e alla Sibilla che lo guardano meravigliati e indica loro Marco Claudio Macello, console romano ricco di bottini di guerra (glorioso di spoglie) e migliore di tutti gli altri guerrieri. Lui, facente parte dell'ordine dei cavalieri, aiuterà lo Stato Romano e sconfiggerà i Punici e i Galli in guerra contro Roma, e appenderà per terzo, nel tempio di Quirino, le spoglie opime.

Parla Enea
In quel momento Enea, vedendo insieme a Marcello un giovane straordinariamente bello, adornato di ricche armi, ma con l'espressione triste e gli occhi chini sul volto, chiede ad Anchise se costui sia il figlio di Marcello o qualcuno della sua stirpe. Fa notare che molti compagni si sono radunati lì intorno, ma questo giovane spicca fra loro per la sua maestosità e per il fatto che la sua testa è circondata da un'ombra nera come la notte, presagio di un destino triste.

Parla Anchise
Piangendo Anchise si rivolge al figlio, dicendogli di non chiedere del destino di quel giovane che ha rappresentato un grave dolore per i Romani: il fato ha voluto che lui stesse sulla terra per poco tempo (è morto giovanissimo) e non continuasse a vivere. Dice, rivolgendosi agli dei, che se i Romani avessero avuto più uomini come quel giovane sarebbero sembrati troppo potenti anche a loro.
Il giorno dei funerali del giovane Marcello tanti eroi piansero per lui presso il Campo di Marte e che oggi il Tevere, scorrendo nel suo letto, passa accanto al monumento funebre fatto costruire da Augusto per sé e per i propri discendenti.
Continua dicendo che nessuno dei discendenti dal popolo di Ilio ha portato in alto le speranze di Roma quanto farà il giovane Marcello, né Roma potrà mai vantarsi di avere avuto un altro giovane simile a lui.
Dice che grazie alla pietas, alla fede, al valore militare, nessuno avrebbe avuto il coraggio di affrontarlo in battaglia senza uscirne sconfitto, sia che lo avesse attaccato a piedi, sia cavalcando un valoroso destriero. Si rivolge poi al figlio dicendo che se lui sarà più forte del destino, allora sarà degno della stirpe dei Marcelli.
Chiede che si spargano moltissimi gigli e fiori rossi, anche se questi riti non potranno nulla contro la morte del giovane.

domenica 11 marzo 2018

TESINA SUI FIORI

Storia=Il Risorgimento e il Corbezzolo (simbolo patrio italiano)
Geografia=Un fiore raro e la sua origine geografica (A questa pagina i fiori più rari del mondo)
Italiano=Giovanni Pascoli "Al Corbezzzolo"
Inglese="Daffodils" di William Wordsworth
Francese=Baudelaire "Les Fleurs du Mal"
Scienze= Angiosperme e Gimnosperme
Tecnologia=L'industria floricola
Arte=I Girasoli di Van Gogh
Musica="Nothing but flowers" dei Talking Heads


ALTERNATIVE


Storia=Il movimento Flower Power e la guerra in Vietnam o la Guerra Fredda
Geografia=Il Giappone e il fiore di Ciliegio (Sakura)
Italiano=Giacomo Leopardi "La Ginestra"
Musica=Il Rock degli anni '60 (si collega al movimento hippy/flower power)



domenica 4 marzo 2018

RIASSUNTO PRIMO LEVI


Primo Levi è stato un chimico, scrittore e poeta di origine ebraica.
Nacque a Torino, nel 1919, dove frequentò il liceo Massimo D'Azeglio, mostrando subito un vivo interesse per il mondo scientifico e soprattutto per la chimica.
Durante l'adolescenza si appassionò alla montagna e all'alpinismo. Fra le rocce e nella natura poteva infatti ritrovare quegli elementi che amava studiare nella chimica e sulla tavola periodica.
Fu proprio la chimica il tema centrale dei suoi studi universitari che si conclusero nel 1941 con una tesi sull'inversione di Walden.
In quegli anni il padre era molto malato e Levi fu costretto a cercare un lavoro per aiutare la famiglia. Trovò impiego in una cava di amianto, ma non poté essere assunto regolarmente a causa delle leggi razziali. Anche da questa esperienza nacque più tardi il libro "Il Sistema Periodico" diviso in capitoli ognuno col titolo di un elemento chimico.
Qualche anno dopo lasciò la cava per impiegarsi a Milano presso una ditta farmaceutica.
Dopo l'armistizio dell'8 Settembre 1943 Levi entrò in un gruppo partigiano, ma venne quasi subito arrestato e trasferito prima nel campo di concentramento di Fossoli e poi ad Auschwitz dove rimase per circa un anno riuscendo a sopravvivere fino al 27 gennaio 1945, quando i soldati sovietici liberarono il campo.
Dopo essere tornato a Torino scrisse il libro “Se Questo è un Uomo” dove raccontò la terribile esperienza vissuta nel campo di concentramento.
Nel 1947 trovò lavoro in una fabbrica di vernici, la Siva, dove rimase per quasi trent'anni.
Nello stesso anno sposò Lucia Morpurgo da cui ebbe due figli, Lisa Lorenza e Renzo.
Nel corso degli anni, pur rimanendo impiegato presso la Siva, Levi lavorò anche come scrittore, collaborando con riviste scientifiche e con la casa editrice Einaudi, che nel 1963 pubblicò “La Tregua” un romanzo in cui Levi racconta il lungo viaggio di ritorno da Auschwitz all'Italia.
Fu un lungo e tortuoso tragitto durato quasi un anno che dalla Polonia lo portò prima in Unione Sovietica, Romania, Ungheria, Austria e infine in Italia. Dal giorno della liberazione, il 27 Gennaio 1945, Primo Levi riuscì a tornare a Torino solo il 9 ottobre 1945.
Nel 1977 si licenziò dalla fabbrica di vernici Siva per dedicarsi soltanto alla scrittura.
Nel 1979 iniziò a scrivere il libro “I Sommersi e i Salvati” nel quale voleva raccontare le differenze tra i prigionieri dei campi di concentramento: i sommersi sono quelli che non trovarono il modo di sopravvivere e i i salvati quelli che invece ci riuscirono.
La scrittura di questo libro fu molto lunga e si protrasse per diversi anni al punto che fu pubblicato solo dopo la morte di Levi, avvenuta a Torino l'11 Aprile del 1987.